Glossario dei termini tecnici
in Paolo di Alessandria
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a cura di Giuseppe Bezza

sêmainô, significo, v. poieô.

spora, satio, v. ektropê.  

symparousia, compraesentia, v. epiparousia.  

sympêxis, compages, v. pêxis.

symphônos, consonus, consentiens. Nel cap. 9 Paolo dichiara che il trigono e la compresenza (sumparousia, v.) sono symphônoi, il quadrato è asymphônos. Lo scolio 16 aggiunge che il diametro è in qualche modo medio tra la concordia e la discordia e precisa quali esagoni sono concordi. Questi termini sono ripresi nei capp. 24 e 27 riguardo alla concordia dei luoghi declinanti con l'oroscopo e il culmine. Per una analoga distinzione tra figure discordi e concordi cfr. Tolemeo, quadr. I, 14 e I, 18. Si noti che in I, 19 Tolemeo definisce il trigono symphônotatos. Poiché le ragioni addotte dallo scoliaste di Paolo e da Tolemeo aggiungono, alle leggi dell'armonia, il sesso dei segni, il termine acquisisce una sua particolare accezione nel lessico astrologico e non può essere tradotto con consonus, ma con consentiens. Si deve pertanto concludere che l'effetto degli intervalli consonanti, in virtù dei quali si producono le kraseis, mixtiones, delle nature degli astri, non generano symphônia, ma schêmata, figurae, e martyriai, testimonia (v. martyreô). Tuttavia la complessità della dottrina delle figure mostra qualche apparente anomalia rispetto a questa definizione primaria: Retorio, ad esempio, dà la seguente accezione di symphônia, consensus, relativa alla doryphoria (v.), comitatus: «Concordi e di tutti maggiori sono i cortei trigonici e quadrati, ma quelli esagonali agiscono in modo più lieve» (CCAG I, pag. 156, cap. 25), a confrontare con il Laurentianus Pluteus 28,13 fo. 194v: «I cortei più concordi sono quelli trigonici, quelli quadrati sono minori, mentre quelli esagonali sono senz'altro più deboli nella loro energia».

synairetês, sectator, v. hairetês.  

synantêsis, occursus. Nonostante Tolemeo (quadr. I, 14) usi il termine in un contesto apparentemente statico, la synantêsis implica necessariamente un movimento. Designa infatti un incontro che avviene mediante directio. E' così definita dallo scoliaste: «La synántêsis mediante direzione avviene o per emissione di raggio (kata aktinobolian, v.) quando si produce a partire dai luoghi seguenti mediante le ascensioni, o per moto longitudinale degli astri dai luoghi precedenti verso i seguenti, mediante configurazioni e agglutinatio (kata schêmatsmous kai kollêseis)». La synantêsis è verisimilmente sinonimo di hypantêsis, come appare nel quadripartito di Tolemeo, che si serve tuttavia più frequentemente del secondo termine; quanto ai suoi due modi, le rispettive definizioni tolemaiche sono a) kata aktinobolian, b) hôrimaia (cfr. quadr. III, 11, 9). Eliodoro limita la synántêsis all'incontro corporale (kata sôma), distinguendola così dalla kollêsis (v.) o glutinatio, che è incontro per figura (kata schêma), cfr. cap. 34.

synaphê, coniunctio, continuatio, v. aporroia.  

syndesmos, vinculum, designa in Paolo non già i nodi dell'orbita lunare, come avverte lo scoliaste (sch. 99) e come è l'uso generalizzato, ma quattro vincula che la Luna forma e scioglie nella sua rivoluzione sinodica, v. cap. 35. I nodi dell'orbita lunare sono chiamati da Paolo anabibazôn, ascendens, e katabibazôn, descendens; e in un altro passo (cap. 25) hoi ekleiptikoi, gli "eclittici"; qui un glossatore ha inserito una chiosa: "ovvero i vincoli (syndesmoi), ove avvengono le eclissi".

synodikos, coniunctus, v. hypaugos. E' sinonimo di egkardios, (cfr. cap. 14, Olimpiodoro cap. 11) termine assente in Paolo, nello scoliaste e in Olimpiodoro, ed è riferito ad uno dei cinque pianeti. In altri autori l'aggettivo designa anche una qualità della genitura, che viene distinta in synodikê ghenesis e panselêniakê ghenesis (cfr. per es. V. Valens III, 7; Pingree pag. 138,8), a causa della grande importanza che gli astrologi attribuiscono alla sizigia che precede la nascita, v. infra synodos

synodos, conventus. E' una delle dieci fasi della Luna, la prima, quando è nel medesimo grado (isomoiros) del Sole. Mancando in Paolo il termine syzyghia, egli parla sempre distintamente della synodos e panselênos precedenti il momento in questione (capp. 22, 33, 34, 36). Non così Olimpiodoro, che accanto a syzyghia usa anche il termine composto synodopanselênos. Nello scoliaste, synodos designa altresì la coniunctio dei pianeti, quantunque limitata al Sole, mentre negli astrologi tardi il termine designerà ogni congiunzione. D'altro canto, sia in Paolo, sia nello scoliaste il verbo synodeuô indica il congiungersi degli astri, superiori od inferiori, al Sole (cap. 15, sch. 21, 25), mentre Olimpiodoro lo limita alla congiunzione della Luna al Sole (cap. 15, commento al cap. 16 di Paolo).

schêma, figura; il termine schêma ha in Paolo e in altri astrologi due accezioni, una è tecnica, l'altra significa la forma e la figura in generale, quale, per esempio, l'aspetto delle nubi (Pto., quadr. II, 14) o la forma che assume la chioma delle comete (quadr. II, 10). Ma anche l'accezione tecnica è duplice: in senso lato, con il termine schêma è designata una qualsivoglia configurazione complessa di uno o più astri, abbia essa un nome nel corpo dottrinario (come la perischesis, circumventio, o l' epanaphora, v., ortus subsequens, cfr. Hephaestio I, 15; II, 10) o no, e in questo significato è impiegato cinque volte da Paolo nel cap. 25; ma in senso stretto, gli schêmata sono l'esagono, il quadrato, il trigono e il diametro (cfr. capp. 10, 27), la congiunzione non essendo uno schêma (cfr. sch. 15, 41, 94). Poiché di queste figure le prime tre sono sia destre che sinistre, si danno sette schêmata degli astri (cfr. Introductio Porphyrii, loc. cit., cap. 9). Da schêma derivano schêmatismos e syschêmatismos, che sono termini più specifici. Se schêma indica la forma in sé, schêmatismos è l'atto che la produce, la figuratio o rappresentazione: Tolemeo, quadr. III, 12,  parla di «un'appropriata conformazione del cielo che ci circonda (ton oikeion tou periechontos schêmatismon). Ma in schêmatismos vi è anche un'accezione tecnica, ancorché i suoi limiti non sembrano nettamente definiti: così come il verbo schêmatizô, con valore intransitivo, viene usato da Paolo nel senso di "prendere una posizione" (cap. 24), schêmatismos ha il valore di positus, situazione, posizione, in relazione ad un termine medio: il domicilio dei pianeti rispetto al domicilio del Sole (Pto., quadr. I, 23; Boll-Boer pag. 53, 19), la posizione dei pianeti rispetto a quella del Sole e rispetto agli angoli della natività (quadr. I, 6; Boll-Boer pag. 20, 19). In Tolemeo, schêmatismoi sono le posizioni che assumono le stelle fisse rispetto al Sole (quadr. I, 2; II, 8; alm. VIII, 4), sono i quattro schêmata diametrali, trigonici, quadrati ed esagonali (quadr. I, 17; passim), sono le emersioni dalla luce del Sole e le occultazioni, il culminare, le acronicità, le stazioni mattutine e vespertine (quadr. III, 14). Allo stesso modo, l'autore del sommario di Paolo chiama schêmatismous le posizioni epicicliche degli astri (CCAG VIII/3 pag. 96, 32) e Paolo comprende tra gli schêmata anche tutte le dieci phaseis della Luna (cap. 16), così come Olimpiodoro chiama schêma la fase plêsiselênos. Quanto a syschêmatismos, configuratio, indica in Paolo quei rapporti tra i segni che sono dati non solo dagli schêmata, ma anche da altri rapporti, quale ad esempio l' isanaphoria (capp. 12, 13). A sua volta, il verbo syschêmatizô, al passivo, si dice di due o più astri che sono configurati nel medesimo segno (cap. 10) o nel medesimo luogo (cap. 24), Quanto all'antinomico aschêmatistos, è impiegato da Olimpiodoro come sinonimo di asyndetos, v. apostrophos.

topos, locus. Nel cap. 24 il termine designa uno dei dodici luoghi nei quali è suddiviso il moto diurno, primo dei quali è l'oroscopo. Il Barberinianus Vat. 127, che a fo. 59r ci offre il commento di Olimpiodoro al capitolo di Paolo, lo fa precedere da una piccola introduzione (non recensita nell'edizione della Boer), ove viene precisata l'accezione del termine. Dopo aver detto che l'inizio della figura astronomica o thema viene assunto dal dodecatemorio del circolo zodiacale che sorge, così prosegue: «Gli astrologi (hoi apotelesmatikoi, hous kai astrologoi phasi) dividono il circolo zodiacale in dodici parti tra loro uguali, che chiamano universalmente luoghi». In accezione meno specifica, topos significa un luogo che ha una sua identità in forza dei diritti, logoi o  oikeiôseis, familiaritates, che gli astri detengono: cfr. cap. 26: "La Luna nei confini o nei luoghi di Mercurio". Ad esprimere questa condizione conviene il verbo idiotopein, essere in luogo proprio, assente in Paolo, come d'altronde in Tolemeo, ma presente in altri astrologi, cfr. Hephaestio II, 18: Venere e Marte in Pesci sono idiotopountes, l'una essendo nella propria elevazione, l'altro nel proprio triangolo, e V. Valens II, 22; Pingree pag. 82,11: Giove nei Pesci è idiotopoun, in loco proprio positus.

hypakouô, obœdio, il dare ascolto, il prestare orecchio è proprio di un segno verso un altro segno: quello il cui arco notturno è pari all'arco diurno dell'altro, che è detto prostassôn, imperans. Questi segni sono ricordati da Paolo nei capp. 8, 9, 10, talora con il nome di akouonta, auscultantia, ed altrove sono chiamati hypeikonta, cedentia, in quanto accondiscendono, si assogettano al volere dei keleuonta, iubentia, che incitano e stimolano (Anecdota astrologica, A. Ludwich, pag. 106). Pertanto, l'azione di ciascun segno unito a coppia è distinta: se il Toro incita i Pesci, i Pesci prestano orecchio al Toro (cap. 9). Non così i segni bleponta allêla, mutuo se videntia: i loro archi diurni essendo uguali, si vedono e hanno rapporto paritario.

hypaugos, subradiatus, qui est sub luce. Il termine appare nel cap. 23, mentre nel cap. 24 Paolo si serve della perifrasi hypo tas hêliôtidas augas, che equivale all'espressione sub radiis Solis della letteratura astrologica medievale. Lo scoliaste distingue tra astri dytikoi, occidentales, e hypaugoi, subradiati, portando ad esempio il caso dei tre pianeti superiori: i primi sono quelli che, essendo vespertini al Sole, distano da esso fino a 15 gradi (cfr. sch. 49, Olimpiodoro capp. 8, 9) e sono deboli nelle loro operazioni. Ma nel cap. 14 Paolo distingue tra astri synodikoi, synodici, e hypaugoi, subradiati, ponendo 9 gradi come limite della debolezza, mentre Olimpiodoro, nel suo commento (cap. 11) afferma che questo limite è tra gradi 5 e 6. L'astro synodicus è detto altresì egkardios, in corde Solis (cfr. l'ar. samîm) da Retorio: «Nessuno degli antichi ricorda questa fase, noi nondimeno l'abbiamo assunta per certa avendola valutata sperimentalmente; ed anche Tolemeo parla della fase sinodica tacendone la forza» (CCAG I, pag. 145,26). Antinomico di hypaugos è exaugos; i due termini significano cose tra loro affatto contrarie: «La fase sotto la luce del Sole (hê hypaugos phasis) giova all'imboscata e alle insidie e a tutto quanto è occulto, ma la fase di apparizione giova a quanto è manifesto, a ciò che non passa inosservato, né può essere dimenticato» (Vaticanus gr. 1056 fo. 240r). Il termine exaugos è assente in Paolo, che preferisce designare l'astro che è uscito dalla luce del Sole ed appare alla vista con to phôsphoroun sôma, corpus lumen ferens (v. phôsphoreô). Il presentarsi, il portar luce è condizione necessaria al pianeta per ottenere il dominio della genitura (v. oikodespotês), cfr. sch. 7, Olimpiodoro cap. 40.

hypogheion, imum cælum, v. kentron.

hypodechomai, recipio, è in Paolo termine tecnico per designare l'astro che accoglie l'applicazione (synaphê) della Luna (cap. 26; cfr. scholio 62 = Olimpiodoro cap. 23), ma epidechomai sembra usato come sinonimo (cap. 17); hypodechomai, avendo l'accezione di accogliere e disporre, designa l'astro che ha un qualche diritto su un pianeta o un luminare, quando questi ultimi sono nelle di lui potestates (cfr. capp. 24, 32). In questo senso ritroviamo il termine in V. Valente (Pingree pag. 97,18). Di norma, nell'astrologia greca, viene preferita l'espressione tên synaphên epechein, coniunctionem obtinere, a indicare l'azione dell'astro che riceve l'applicazione della Luna (cfr. Tolemeo, quadr. III, 14; Boll-Boer pag. 157,2; IV, 2 Boll-Boer pag. 176,4; IV, 3 Boll-Boer pag. 179,4; IV, 5 Boll-Boer pag. 185,5.6.10).

phasis, ortus. Il termine, in senso stretto, denota la prima ed ultima apparizione di un astro all'orizzonte orientale od occidentale, poco prima del sorgere del Sole o poco dopo il suo tramonto. In questo senso si esprime Olimpiodoro (capp. 8, 9) nel commento al cap. 14 di Paolo. Secondo una più ampia accezione, il termine esprime ogni variazione nella luce e nel moto dei pianeti nel loro moto nell'epiciclo (cfr. cap. 15) ed anche le figure (schêmata) della Luna son dette phaseis (cap. 16) e lo scoliaste ne vuole dare una giustificazione: «Queste figure son dette fasi, poiché appaiono (phainontai) mano a mano che la Luna si allontana dal Sole» (sch. 36). Olimpiodoro, inoltre, chiama phaseis anche le applicazioni e deflussioni (synaphê, aporroia) della Luna (capp. 16, 17). Nel capitolo 26, sulle attività, Paolo pone un'analogia di significato tra l'applicarsi della Luna ad un astro e le fasi apparenti dei pianeti nel loro ciclo sinodico, segnatamente: l'apparizione mattutina dei superiori e quella vespertina degli inferiori, le quali hanno una forza (energheia) non dissimile dalla synaphê della Luna agli astri. Se ne dovrebbe dedurre che le fasi ad esse opposte siano assimilabili alle deflussioni, ma su questo non vi sono testimonianze.

phôs, lumen, è detto della luce dei pianeti, la quale diviene splendente quando sono acronici (cap. 15), ed altresì della luce della Luna nelle sue fasi (cap. 17). Più in generale, il Sole e la Luna sono ta phôta, luminaria (capp. 24, 33, 34, 35), onde si precisa talora qual è il luminare temporis, phôs hairetikos (capp. 32, 33) o to tês haireseôsa phôs (cap. 36).

phôstêr, luminare, usato come sinonimo di phôs (capp. 6, 34), designa o il Sole o la Luna, hoi duo fôstêres, ed è forse espressione più appropriata, avendo l'accezione di "colui che splende", "che dà luce".

phôsphoreô, lumen fero, il termine è presente in Petosiride e designa la Luna (cfr. V. Valente VII, 6; Pingree pag. 267, 19), in particolare quando dista dal Sole quel tanto da apparire (15 gradi, cfr. Serapione CCAG VIII/4 pag. 227). Ma in Paolo (cap. 36) i phôsphorounta sômata (v. hypaugos) sono tutti i pianeti quando non sono combusti, i.e. nella luce del Sole. E' questa una condizione per detenere l' oikodespoteia (v. oikodespotês) e significare gli anni di vita.

chairô, gaudeo. Il verbo vuole esprimere la disposizione felice e quindi conveniente od opportuna (thesis oikeia, idia) degli astri, in virtù della quale essi operano al meglio. E poiché tale disposizione felice avviene mediante più condizioni, queste sono in diversi luoghi enunciate da Paolo. Nel cap. 3 è detto che i pianeti chairousi, gaudent, nei loro confini (horia) come nei segni loro propri; precisa poi che segni propri sono quelli ove gli astri hanno il proprio trigono (trigônon), domicilio (oikos), elevazione (hypsôma) e nel capitolo seguente a questo elenco è aggiunto il decano. La seconda condizione del gaudium è data quando i pianeti sono conformi ai princípi della fazione, hairesis (cap. 6). Questa seconda condizione è quella comunemente recensita dagli astrologi; cfr. V. Valens III, 5: «Si devono considerare le fazioni (haireseis) degli astri. Il Sole, Giove e Saturno si rallegrano nel giorno quando sono sopra l'orizzonte (hypergheioi chairousin), di notte quando sono sotto l'orizzonte. La Luna, Marte, Venere si rallegrano di notte quando sono sopra l'orizzonte, ma quando sono sotto nel giorno. Mercurio si rallegra secondo la fazione dell'astro che è signore dei suoi confini. Pertanto è preferibile, in coloro che nascono nel giorno, che Giove, il Sole, Saturno si ritrovino sopra l'orizzonte e ben configurati, piuttosto che sotto l'orizzonte. Allo stesso modo è vantaggioso che gli astri notturni siano nella notte sopra l'orizzonte. Per quanto è di Venere, si rallegra maggiormente quando sorge o quando culmina, mentre i restanti astri si rallegrano più al sorgere che al tramontare». Cfr. Demofilo (CCAG V/4, pag. 228), Serapione (CCAG VIII/4, pag. 230,26-33; pag. 2131,16-23), Efestione II, 57 (Pingree I, pag. 198,15). La terza condizione si fonda sulla presenza degli astri in uno dei dodici luoghi (cap. 24); gli astrologi generalmente chiamano quest'ultima condizione chara, gaudium, termine non presente in Paolo, ed Olimpiodoro (cap. 23) la recensisce nella sua introduzione al capitolo sui dodici luoghi.

chara, gaudium, v. idiothroneô, chairô

chrêmatizô, decernendi vim habeo. Paolo preferisce servirsi del verbo chrêmatizein, piuttosto che dell'aggettivo crêmatistikos, così frequente in altri astrologi (V. Valente ad esempio), ma che è assente in Paolo. L'accezione di chrêmatizô è "dare un responso", "annunciare" e quindi "deliberare", "decidere": il Sole, la Luna o uno dei cinque astri possono avere la facoltà di deliberare riguardo ai tempi di vita (cap. 3). Allo stesso modo, in date figure (cap. 14: figure epicicliche degli astri al Sole) o luoghi (cap. 24) o singoli giudizi (cap. 27, sulle attività) gli astri assumono questa facoltà, che d'altro canto appartiene alla Luna in ogni sua applicazione, synaphê (cap. 17). Una volta sola (cap. 26) Paolo si serve del termine achrêmatistos a indicare l'inoperosità di un astro; questo termine ha come sinonimi apraktos, irritus, adranês, debilis, argos, piger.

psêphophoria, suffragii latio, è nello scoliaste (sch. 86) e manca in Paolo, dove troviamo psêphizein, nell'accezione di calcolare, l'oroscopo ad esempio (cap. 29) o le sorti (cap. 23). Ma il termine psêphos ha in Paolo l'accezione di diritto o prerogativa che un astro assume su una data questione, segnatamente riguardo all' oikodespoteia (v.) e la pleionopsêphia, maior numerus suffragium, è richiesta all'astro che ha da essere assunto a oikodespotês (tês zôês). Questi termini sono comunemente usati in tutta l'astrologia greca, dove si incontra anche il sinonimo pleionopsêphoria (cfr. ad es. Serapione, CCAG V/3 pag. 87; Giuliano di Laodicea, CCAG IV, pag. 104): l'astrologo deve valutare l'astro che ha maggiori diritti su una data questione, perché da esso ne dipende l'esito (ekbasis, telos).

hôroskopos, horoscopus, ascendens. Significa propriamente colui che osserva l'ora, mentre hôroskopeion è l'indicatore dell'ora, un orologio. Ma nel lessico astrologico il termine presenta due accezioni: a) il grado che sorge all'orizzonte orientale, e in questo senso è usato da Paolo (cfr. capp. 2, 15, 23, 27, 29, 30, 34, 36); espressioni sinonime, ed estese, sono hê moira hôroskopousa e hê hôroskopousa moira (cfr. capp. 7, 33); l'oroscopo viene pertanto ritrovato mediante moirikê katalêpsis, partilis comprehensio (cap. 33) e necessita di una computazione per gradi: moirikê arithmêsis, numeratio partilis (cap. 23); b) denomina il primo dei dodici luoghi (topoi) della figura, thema (capp. 24, 25, 26, 27, 31), onde i rimanenti undici luoghi sono riconosciuti e numerati a partire da esso (cfr. spec. cap. 24); pertanto, in questa seconda accezione, abbiamo anche un hôroskopoun zôdion, signum ascendens (capp. 24, 31). Infatti, anche il verbo  hôroskopeô condivide le due accezioni predette (cfr. specialmente capp. 24, 25). I manoscritti della classe g attestano anche hôroskopêsis, horae contemplatio, che è termine vetusto e si ritrova in Doroteo: "Se l'osservazione dell'ora dell'inizio della fuga non è nota, devi erigere l'oroscopo in quel momento in cui il padrone dello <schiavo> fuggiasco ha avuto conoscenza della fuga" (CCAG V/3 pag. 85,20 = Hephaestio, III, 47; Pingree pag. 322,34); la medesima espressione è in Sesto Empirico: "Rispetto ai tempi stessi del parto e all'osservazione dell'ora, non vi può essere esattezza alcuna" (adv. math. V, 99). Paolo afferma che l'oroscopo è datore di vita e del pneuma e mediante esso si può conoscere ciò che è proprio della vita del singolo (cap. 24), è l'arbitro delle sorti, fondamento del cosmo intero (cap. 23), ciò che nasce trae vita da esso (Olimpiodoro cap. 22) ed esso è fondamento e timone (v. basis): il grado che sorge all'ora del parto dal mondo invisibile al visibile governa e come timone (oiax) dirige (oiakizei) la genitura del bimbo (capp. 24, 33). Esso inoltre è commisurato a colui che nasce, sì come il Sole lo è al padre (cap. 15) e dall'oroscopo, così come dal Sole e dalla Luna, si compie il peripatos, directio, per avere conoscenza dei climacteri (v. klimaktêr): sia di quelli pericolosi, sia di quelli che conducono a morte (cap. 34).

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