Glossario dei termini tecnici
in Paolo di Alessandria |
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a cura di Giuseppe Bezza
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zôdiakos, zodiacus, signifer. Paolo lo chiama ho zôdiakos kyklos ed una sola volta (cap. 3) ho zôophoros kyklos, termine sinonimo e non frequente nella letteratura astrologica e di significato ambiguo, potendosi tradurre sia animalia ferens, sia vitam afferens. Sui termini sinonimi cfr. H. Gundel, Zodiakos, in Pauly-Wissowa, Real Encyclopädie, Bd X A, coll. 465-468 (1972). |
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zôdion, signum. Secondo un uso non infrequente nell'astrologia greca, Paolo impiega spesso il termine sia nell'accezione di segno, sia in quella di topos, luogo, soprattutto nella descrizione dei dodici luoghi (cap. 24; riguardo a simili usi cfr. per es. i giudizi sui dodici luoghi di Retorio, CCAG VIII/4, pagg. 126-174 e la trad. in G. Bezza, Arcana Mundi, Milano 1995, pagg. 234-282). Ancora, ove Paolo espone il computo del grado che sorge (oroscopo) o che culmina (capp. 29, 30), usa un'espressione che, quantunque bene attestata, appare in sé assurda: calcolate le ore dal sorgere del Sole e moltiplicate per le ore temporali del Sole medesimo, si riporta il prodotto dal segno in cui è il Sole, «dando a ciascun segno 30 gradi e nel segno in cui ti rimarrà un numero minore di 30, lì dirai che si trova l'oroscopo» (cap. 29). Questa stessa espressione la ritroviamo nel cap. 22 (sui dodicesimi) e nel cap. 23 (sulle sorti). Su questa difficoltà già si era espresso lo Scaliger: o i segni devono essere considerati in due modi, l'uno sull'eclittica, l'altro sull'equatore o ancora, se si deve ritrovare l'oroscopo sull'eclittica, le ore temporali devono essere convertite in equinoziali (M. Manilii Astronomicw§n libri quinque Iosephus Scaliger recensuit..., Heidelbergae 1590, pag. 275). |
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thema, positum, dispositio. Il termine è assente in Paolo, ma appare in Olimpiodoro: cfr. il comm. al cap. 20: thema tês gheneseôs è positum siderum nativitatis tempore e può quindi essere diurno o notturno (cfr. comm. ai capp. 23, 32). Sinonimo di thema è themation, termine anch'esso usato da Olimpiodoro (cfr. comm. al cap. 25): con questo nome «chiamano gli astronomi la caelestis dispositio, hê ourania diathesis» (Barberinianus Vat. 127 fo. 59r; su questo testo v. topos). Sono pertanto varii i sinonimi di thema, secondo quanto leggiamo in un testo anonimo: «E' chiamato fondamento o radice o principio o disposizione o thema (kalein touto themelion ê pêxin ê katarchên ê diathema ê thema) ed invero il nome né ostacola, né giova» (CCAG IX/1, pag. 175). |
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theôreô, specto, v. katopteuô. | |
idiothroneô, in solio proprio insideo. E' hapax in Paolo: nel cap. 36 "essere nel proprio trono" è una delle condizioni che danno senz'altro diritto all' oikodespoteia (v.), dominatus. Sarapione (CCAG VIII/4, pag. 228,25) dichiara quali sono i segni in cui gli astri risiedono come nei loro propri troni; nonostante il testo sia corrotto, sembra trattarsi della seconda chara, gaudium, descritta da Demofilo: Saturno in Acquario, Giove in Sagittario, Marte in Scorpione, il Sole in Leone, Venere in Toro, Mercurio in Vergine, la Luna in Cancro (CCAG V/4, pag. 228). |
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idiotopeô, in loco proprio versor, v. topos. | |
isoskelês, aequicrurius: kat’isoskeleian, secundum figuram æquicruriam. Questa espressione appare nello scoliaste in una glossa al cap. 34 (sch. 90), dove appare trattarsi di una figura perfetta e compiuta. La medesima espressione è presente in Tolemeo in un solo capitolo, quadr. III, 10 (de hiis qui non nutriuntur), dove appare evidente che l'autore inserisce qui un concetto tecnico nuovo, che deve evidenziare la gravità della disposizione del cielo nei bimbi soggetti alla morte perinatale. I commentatori medievali di Tolemeo hanno spiegato in varii modi l'espressione, che compare anche nel capitolo sulla doryphoria dell'Introductio Porphyrii (CCAG V/4 cap. 29, cfr. Hephaestio I, 17; Pingree I, pag. 41,13). Negli scholia di Demofilo all'Introductio Porphyrii (CCAG V/4 cap. 51, pag. 223) il termine isoskelês è connesso al secondo dei due modi di calcolare le figure (il terzo, quello zodiacale, essendo quello sul quale tutti siamo indotti in errore: eis hên pantes planômetha), quello che tiene conto delle chronikai moirai, gradus temporales. Entrambi i modi sono ricordati da Retorio nella sua Istruzione per giudicare le natività (CCAG VIII/1, pag. 244; trad. in G. Bezza, Arcana Mundi, Milano 1995, pag. 882-885) Si potrebbe quindi ritenere che la figura kat’isoskeleian è figura compiuta non in senso geometrico, ma secondo il tempo, il lato zodiacale che esprime la figura dovendosi uguagliare al lato che esprime la sezione di arco diurno o notturno dell'astro che segue fino a quello che precede. Così intesa, la figura equicruria è un triangolo sferico e la sua concezione non può precedere l'età di Menelao (fine del I sec. d.C. e inizio del II). Ma nelle synaphai, applicationes, della Luna vi è figura compiuta quando l'astro che ne detiene l'applicazione si trova sul suo medesimo circolo di latitudine. Questo è quanto appare nel capitolo sulla doryphoria dell'Introductio Porphyrii ed è quanto esprime ‘Alî ibn Ridwân nel commento al capitolo precitato di Tolemeo: «Si fuerit cum luna quod sit infortuna in circulo inclinato lune» (Liber quadripartiti Ptholemei... cum commento Haly Heben Rodan, Venetiis 1493, cc. 64ra). |
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kathetos, perpendicularis: kata katheton, ad perpendiculum. L'espressione si trova nello scolio 39 al capitolo di Paolo sulle applicazioni e deflussioni della Luna (cap. 17) e vuole significare l'applicazione della Luna secondo la perpendicolare dell'astro cui si unisce ovvero per latitudine, giacché i cerchi di latitudine formano angoli retti con l'eclittica. In Valente l'espressione sembra avere un diverso significato: parla infatti di un diametro che avviene kata katheton (II, 32; Pingree pag. 98,18) e ciò significherebbe un'opposizione la cui linea passa per il centrum mundi, secondo l'accezione comune, cfr. Plutarco, plac. philos. II, 24 (890F): «Talete fu il primo a dire che l'eclisse di Sole si produce quando la Luna, la cui natura è terrestre, si pone a perpendicolo sotto di lui (tês selênês auton hypotrechousês kata katheton)». |
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kathistêmi, constituor, v. poieô. | |
kathyperterêsis, exsuperantia, appare solo una volta (cap. 13) dove è sinonimo di posizione destra (epidexiotês), relativamente alla posizione dei segni dello zodiaco nel moto diurno; questo ultimo termine appare in Paolo come sinonimo di kathyperterêsis, come si desume dal cap. 12; cfr. lo scolio 18: «Destri sono detti gli astri che sono nelle parti precedenti, sinistri quelli nelle parti seguenti; in quelli che per posizione destra (kat’epidexiotêta) hanno maggior forza, quelli che sono congruenti (homozôna) hanno la distanza maggiore». Il termine è assente nel commentatore. Riguardo alla posizione relativa tra astri, cfr. il cap. 21 dell'Introductio Porphyrii, che qui citiamo dal Barberinianus Vat. 127, che offre una lezione alquanto migliore: «E' superiore ogni astro che si trova nel trigono o quadrato od esagono destro ovvero precedente (proêgoumenos) rispetto a quello che è nella parte sinistra ovvero seguente (hepomenos), poiché si dirige verso di esso. Ad esempio, l'astro che è in Capricorno è superiore a quello che è in Toro per trigono, a quello che è in Ariete per quadrato, a quello che è in Pesci per esagono. Quanto all'astro che è nelle parti seguenti, è sovrastato da quello che è nelle parti precedenti. Si dice poi che le sovreminenze sono più vigorose, siano esse trigoni o quadrati ed invero l'astro che in tal modo è sovreminente ha maggior forza, sia esso benefico o malefico od angolare: se è benefico, mostra una genitura illustre, ma il corruttivo la rende oscura; e di norma, ogni astro posto nella parte destra sovrasta il sinistro verso il quale si dirige». |
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kakoô, vexo, v. agathunô. |
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katabibazôn, descendens, v. syndesmos. |
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katopteuô, inspicio, è verbo che esprime, in forma generale, senza alcuna specificità, la videndi actio degli astri (cfr. capp. 16, 24, 31, 36). Paolo si serve anche del verbo theôreô, specto, e più raramente di epitheôreô, prospicio, in termini generali e indifferenziati per indicare che un astro osserva o è osservato. A differenza della letteratura più tarda, i verbi blepô, aspicio, e horaô, video, sono usati solo a significare il rapporto tra i bleponta zôdia, videntia signa (cap. 8) e non sono riferiti alle mutue osservazioni tra gli astri. |
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kentron, centrum, cardo. Ha il significato di centro, della Terra o della sfera; nel lessico astrologico vi sono quattro kentra, che in latino suonano cardines, che designano quattro luoghi della sfera locale ove gli astri o mutano i loro moti passando dall'ascensione alla discensione e viceversa (mesouranêma, medium cælum, hypogheion, imum cælum) o appaiono o scompaiono alla vista (anatolê, oriens, dysis, occidens). Nella descrizione dei segni dello zodiaco (cap. 2), Paolo sottolinea quali sono i kentra del thema mundi. Il verbo kentroô, al passivo, è impiegato per significare la posizione di un astro presso uno dei quattro kentra (cap. 25, sch. 76a sulle attività), unitamente ad epikentros; in Olimpiodoro troviamo anche il sinonimo egkentros. In Vettio Valente, l'avverbio kentrikôs si contrappone a zôdiakôs e indica una directio (aphesis) che non è compiuta lungo i gradi dello zodiaco, ma secondo i tempi orari della rotazione diurna della sfera (III, 5; Pingree pag. 130, 15). Nel cap. 25 Paolo parla di ta katô kentra, infera centra, che sono il tramonto e l'ipogeo, il primo in quanto discende, il secondo poiché è nel punto più basso; si potrebbe inferire che gli altri due cardini sono ta anô kentra, supera centra, ma Paolo già li ha definiti epikairoi topoi, v. epikairos. |
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klêros, sors. Paolo ne dà un elenco nel cap. 23, quindi parla espressamente di alcune sorti in dati giudizi: quella dei figli (cap. 25), il klêros tês tychês riguardo alle attività (cap. 26), ai climacteres (cap. 34) e, unitamente al klêros daimonos, al dominio (oikodespoteia) (cap. 36). Nel cap. 22, tre sorti hanno un ruolo prevalente: tychê, daimôn, anagkê. Se vi aggiungessimo erôs avremmo le quattro sorti che Macrobio (Saturnalia I, 19, 17) connette al caduceo e che hanno un'importanza preminente, come appare in più luoghi di Valente e di Efestione. Nella letteratura bizantina il termine klêros è talora sostituito con horos, terminus, cfr. Angelicus 29, fo. 268v, cap. 304: peri horôn kai klêrôn diaphorôn eidôn. |
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klêroumai, sortior, l'avere in sorte, il possedere come parte propria, come il segno del Cancro che possiede il petto dell'uomo (cap. 2). Paolo usa sovente il termine in questa accezione: i pianeti hanno dati confini (horia) come parte propria, il Sole nel giorno ha in sorte il diritto primo sulla vita (ibid.) e possiede il giorno e quanto è proprio della fazione diurna (cap. 6). Ciò che è proprio ai segni e ai pianeti, sia per natura (Mercurio: ibid., Saturno, cap. 21), sia per accidente (hairesis, cap. 6) è espresso con questo termine. E' da notare che in Tolemeo il termine è un hapax: Saturno ha in sorte l'età ultima, la vecchiaia (quadr. IV, 10; Boll-Boer pag. 208,11) e ciò può sollevare dubbio sull'autenticità di parte di questo capitolo. In effetti, questo termine rivela spesso un modo arcaico dell'espressione negli astrologi, ed è frequente in V. Valente, che ha coniato anche l'aggettivo klêrikos, ora per indicare il dominatore della sorte (klêros, II, 39 Pingree pag. 116,18), ora per indicare i luoghi in cui le sorti cadono (III, 11; Pingree pag. 147,31), ora per indicare i climacteres generati dalle sorti medesime (III, 12; Pingree pag. 148,18); ma cfr. anche Hephaestio III, 9. Sinonimo di klêroumai è lagchanô, sorte accipior, nanciscor: l'Acquario ha in sorte l'Egitto (cap. 2), il Sole l'orbita (zônê) mediana (cap. 21), un astro è in un dato luogo, lo possiede (capp. 24, 25) o ancora ottiene il dominio (cap. 36). |
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klima, clima. E' lo spazio terrestre compreso fra due paralleli. La sua estensione potendo concepirsi sempre più piccola, se ne può dare numero infinito, ma Paolo si serve dell'ordinamento di sette klimata, che differiscono l'uno dall'altro nella quantità del giorno più lungo, quantità che aumenta regolarmente di 1/2 ora di clima in clima. Pertanto, all'interno di una mezz'ora, in un dato clima saranno uguali la quantità del giorno, l'altezza meridiana del Sole, i tempi del sorgere, del culminare e del tramontare delle stelle e dei segni dello zodiaco. |
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klimaktêr, climacter è uno scalino della scala, klimax, che ha assunto l'accezione di un punto critico della vita di un individuo. Le varie forme dei climacteres sono descritte da Olimpiodoro nel cap. 38, cfr. s.v. emptôsis e, in modo più compiuto e riepilogativo, in una nota ascritta ad Eliodoro nel Laurentianus Pluteus 28,34, fo. 164r. |
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kollesis, glutinatio. Eliodoro: «Dicesi glutinatio quando un luogo od un astro lancia un raggio con figura di trigono o quadrato od esagono o diametro nei gradi seguenti al Sole e alla Luna o a un qualche altro luogo. E questo raggio viene emesso in virtù della direzione temporale (kata peripaton chronikên) secondo le ascensioni dei segni. E' inoltre possibile che anche il Sole e la Luna, in virtù della direzione temporale, si incontrino o si agglutinino dai luoghi seguenti ad un luogo o ad un astro precedente» (CCAG VII, pag. 102). Nonostante un passo ascritto ad Eliodoro (Laurentianus Pluteus 28,34, fo. 164r.) dica che la kollêsis, a differenza della synantêsis, avviene per figura, per Paolo la kollêsis è il giungere a compimento di ogni figura incompleta (cfr. cap. 34 e il comm. di Olimpiodoro). |
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kyria, dominatus, v. oikodespotês. |
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kyrios, dominus. In questo termine vi è l'accezione di "custodia", "tutela" quando si dice che il Sole è dominus della vista e della parte egemonica dell'anima (cap. 15), daimôn delle facoltà psichiche (cap. 23) ed ogni segno di una data parte del corpo (cap. 3). Vi è poi l'accezione di "dominio", signoria che non ammette partecipazione: il signore del giorno (cap. 21), dei luoghi significanti figli (cap. 25), dell'anno (cap. 31), dell'oroscopo, della genitura (cap. 36). |
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