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La citazione petosiridiana di Valente (a fianco c’è la trasposizione che ne ho tratto) si trova in un capitolo dell’Antologia in cui l’astrologo antiocheno afferma che dal klêros tychês si ha conoscenza della durata della vita. Quivi precisa - riguardo alla prassi con cui la si ricava - che Nechepso (o Petosiride) prende Tychê dal sole e dalla luna e dall’oroscopo ma, quanto al ritrovamento del suo luogo, pose l’enigma dell’empalin e dell’anapalin. Quindi (K 155,5) aggiunge: «…intorno a questa concezione, divisamente (dianòêma), alcuni pensano una cosa, altri un’altra. Quanto a me sono dell’opinione che nelle geniture diurne si deve calcolare dal Sole alla Luna e riportare dall’oroscopo, ma nelle notturne, se la Luna è sopra l’orizzonte, ovvero fino a quando non tramonta, calcolare da essa al Sole, ma dopo il suo tramonto dal Sole ad essa. Ed invero, la sua precisazione: al Sole il circolo completo affida, questo significa.»
Tralasciando per il momento l’interpretazione volta a sciogliere l’enigma del ritrovamento (di cui si tratta in modo esteso in Sole, Luna, Oroscopo) e invece considerando il brano nel suo complesso, il concetto che sembra venirne fuori mi sembra volto a qualcosa di più ampio rispetto al solo enigma, mentre l’interpretazione che propongo della frase finale è senz’altro differente:
il giorno si alterna alla notte e ciascuno ha il suo luminare, ma la Luna non illumina tutta la notte allo stesso modo in cui il Sole illumina tutto il giorno: di fatto è la luce del Sole che fissa i termini del ciclo completo (e non solo delle ore diurne).
Nel passo citato pertanto sono descritti e distinti due cicli:
1. |
Un ciclo diurno/notturno, generato solo ed esclusivamente dal Sole in quanto è il Sole a sorgere e tramontare, per poi risorgere (ciclo pur presieduto dai due Luminari del tempo che si succedono l’uno all’altra);
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2. |
Un ciclo mensile crescente/calante, generato dalla Luna in quanto è la Luna ad aumentare e diminuire di luce, per poi riaumentare (ciclo pur caratterizzato dalle qualità dei due Luminari che si combinano l’uno con l’altra). |
Entrambi i discorsi coinvolgono i due Luminari ma si tratta di due discorsi distinti, e per le cause che li generano, e per gli effetti che producono.
L’effetto della luce che sorgendo e tramontando determina il succedersi del giorno e della notte e al nuovo giorno dà ancora inizio compete al Sole e al suo moto diurno.
L’effetto della luce che crescendo e decrescendo muove le maree, favorisce o compromette l’imbottigliamento del vino, rimpolpa e svuota i molluschi, accelera o rallenta la crescita di capelli e unghie e dà l’impronta di sé al ciclo dell’ovulazione nella donna - questo effetto, che è poi quello segnalato dalla Sorte - compete alla Luna e al suo moto mensile.
Anche nell’anno i giorni (intesi come ciclo completo di ventiquattr’ore) non sono tutti uguali, bensì vedono un aumento della luce solare dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate e una sua contrazione da quest’ultimo fino a quello d’inverno: così nel mese - pur nella costante successione giorno/notte - la luna aumenta e diminuisce di luce da sinodo a sinodo.
In Luna Crescente la Sorte percorre la medietà notturna rispettando così l’hairesis , e la rispetta perchè l’accrescersi del Luminare notturno si muove al meglio nella notte. In Luna Calante la Sorte percorre la medietà diurna e ciò concorda con il recedere del Luminare notturno.
Lo spartiacque del ciclo mensile è dato dalla linea dell’orizzonte perché all’angolo orientale è posto l’inizio del mese lunare (Tychê al novilunio) e a quello occidentale il suo acme di crescita (Tychê al plenilunio): ma ciò non significa di certo che ciclo diurno e ciclo mensile siano generati dagli stessi moti!
Tre sono infatti i cicli rappresentati nella carta del cielo eretta per un dato momento:
- annuale: con il punto vernale come inizio, l’asse solstiziale come linea di riferimento, il moto del Sole lungo la fascia dello zodiaco come misura;
- mensile: con la Sorte lunare all’angolo orientale come punto d’inizio, l’asse sinodico assimilato all’orizzonte come linea di riferimento, il moto della Sorte lunare secondo l’ordine dei luoghi assimilati alle fasi come misura;
- diurno: con l’oroscopo come inizio, la linea dell’orizzonte come riferimento, il moto orario del Sole come misura;
Necessariamente i cicli si compenetrano ma ognuno obbedisce alle proprie regole e l’applicazione dell’hairesis va calata in ciascuno di essi tenendo conto di ciò.
Ad esempio, nel ciclo mensile, all’interno della divisione prima tra le due fazioni capeggiate da Sole e Luna, si innestano ulteriori considerazioni per il capo della fazione notturna. Sappiamo che per la Luna - un po’ come per Mercurio, anche se con ragioni in parte differenti - opera una duplice condizione: la Luna Crescente (in quanto più agente) ha simpatia per i diurni, la Luna calante (in quanto più statica e recessiva) per i notturni. È come se, attribuendo alla Luna un ruolo più elevato - quale le compete come secondo luminare - le si riconducessero entrambe le fazioni pur sempre secondo i medesimi principî che hanno retto la prima divisione, inserendole coerentemente nella sua bifasicità. Forse che questo è in contraddizione col fatto che la Luna presieda la fazione notturna?
Pertanto i principî dell’hairesis richiedono un’applicazione logica più che categorica, e questo ci conduce alla domanda cruciale: si può far dipendere l’ordine dei fattori di un rapporto che riguarda il ciclo sinodico, da condizioni dettate dal ciclo diurno? Tychê non va piuttosto inserita in una logica che tenga conto d’altro più che del giorno e della notte, proprio come d’altro si tiene conto quando si considera la Luna rispetto a entrambe le fazioni dei pianeti? Infatti se la Luna cresce e cala, che senso ha invertire il calcolo della sorte lunare a secondo che sia giorno o notte? o invertirlo al plenilunio, se così facendo la sorte lunare ripercorrerà a ritroso il medesimo percorso della fase crescente? ma anche invertirlo non appena la Luna tramonta, dato che la Sorte monitora un ciclo che va al di là della singola notte?
Dal canto loro gli Arabi di Albumasar, applicando la discriminante giorno/notte e sorvolando sulla questione dei due cicli distinti, si pronunciano apertamente per l’inversione a partire dal tramonto: «Chiesero ad Albumasar: qual è la tua opinione riguardo a ciò? Rispose che mai si ha da assumere la sorte del demone come afeta, né si deve prendere di notte e di giorno dalla Luna al Sole; io lo prendo di giorno dalla Luna al Sole, di notte dal Sole alla Luna.» (Albumasar, Libri Mysteriorum).
Ma lo stesso Albumasar - insieme a molti altri che come lui invertono nella notte il calcolo - patrocina la potenza di Daimôn nella notte e, soprattutto se angolare o configurato al luminare o al signore dell’oroscopo (ovvero - par di capire - se dotato di una certa forza per luogo e aspetti) le attribuisce le sostanze e la salute, ovvero le virtù di Tychê, di derivazione indubitabilmente lunare! «Chiesero ad Albumasar: qual è fra tutte le sorti la più efficace? Rispose che è la sorte di fortuna. Rispose che si deve compiere la sua direzione al modo in cui si compie la direzione dell’oroscopo. Nondimeno la sorte del demone ha forza nelle geniture notturne, e soprattutto, quando è all’oroscopo o al culmine, elevato o depresso, o con il Sole o con il signore dell’oroscopo, significa ricchezza, benessere, salute.»
Non si può fare a meno di rilevare una certa approssimazione in quest’ultimo passo: perché mai si vuole avvalorare la sorte del demone nella notte e darle gli stessi significati della sorte di fortuna nel giorno? Pare quasi che, a corto di motivazioni teoriche ma evidentemente costretti dall’esperienza, si ricorra alle condizioni di angolarità o di compresenza di un astro che conti in genitura, per giustificare e mantenere l’inversione notturna.
Quanto diversi i testi pervenutici da Valente che, pur che siano privi di un commento esplicativo oppure seguiti da un’interpretazione dell’Autore, non forzano mai il filo del discorso e, per tale integrità, risultano tanto più illuminanti se si riesce a penetrarli! Appare comunque evidente come la questione avesse già allora sollevato un ampio dibattito se non una certa confusione e che due indirizzi opposti pertanto coesistevano e si confutavano a vicenda.
In questo contesto Tolemeo - individuando la Sorte lunare all’interno del ciclo mensile - decide di trattare la questione solo dal punto di vista lunare, probabilmente per sottrarsi alla diatriba, e omette Daimôn. E se Tolemeo trascura la sorte solare non cade per questo in contraddizione come Albumasar e la sua scuola: infatti, occupandosi di sorte lunare, dal ciclo lunare la fa dipendere e le riconosce i significati che dalla Luna le derivano lungo tutto il ciclo. Però non coltiva i significati del demone a cui invece gli altri si dedicarono.
Per Valente (II, 36), la Luna è il destino (tychê) del mondo, il Sole è intelletto (nous) e daimôn e apre il suo capitolo sulle malattie ricordando una distinzione degli antichi (palaioi). Dodici significati nella sorte di fortuna, altrettanti in quella del demone, secondo la domificazione che viene stabilita a partire da ciascuna di queste due sorti. In questa classificazione di significati, a Tychê vengono assegnate le membra, ovvero le parti esterne del corpo, come è uso, ad es., della volgare melotesia zodiacale; al demone, invece, le parti interne.
Già da queste note si trae che se dalla sorte lunare dipende il lato manifesto, percepibile del mondo, dalla sorte solare dipende il lato insito, occulto. Partendo da questo concetto di base, a Tychê compete il corpo, la forma palese, la materia, l’esteriore e accessorio; a Daimôn il pensiero, la sostanza occulta, lo spirito, l’interiore ed essenziale, con tutte le applicazioni possibili anche all’interno di una stessa categoria di fenomeni (come ad es. le parti esterne e le parti interne del corpo) perché non tanto o non solo di una contrapposizione si tratta quanto e anche di un’integrazione, di un rapporto tra due componenti l’un l’altra necessarie. Ma sempre Tychê è più corporea di Daimôn.
Per gli Arabi daimôn è sahm al-ghayb: sahm è parte e freccia, ghayb è ciò che è nascosto, e per il modo di pensare arabo, (cfr. A. d’Alverny, Cours de langue arabe, Beyrouth 1959, 161) ciò che è nascosto è tutt’uno con ciò che è futuro, ciò che sta per venire, ma non è ancora.
Gli astrologi medievali hanno pertanto chiamato il demone pars futurorum, e anche pars legis, come esplica Abenragel: «…significa rettitudine, legge, spirito del corpo, religione, cose segrete e celate, pensiero, buona fama, perfezione e limpidezza.»
Essa è altresì chiamata pars absentiae da Albubater o pars celati, in quanto significa «tutto ciò che è occulto e nascosto» (Ibn Ezra, Introductorium quod dicitur Principium Sapientiae). Il Sole essendo più rarefatto, sorte solare è absentia; essendo la Luna più corporea, presentia è sorte lunare. La dialettica presentia/absentia è l’accedere e il recedere della luce lunare in rapporto alla luce solare, e dove recede il corpo accede lo spirito. Combacia bene con tale discorso il pronostico che con Luna Crescente - ovvero presentia in accrescimento - il concreto sia più influente, da cui il nativo è più atto al fare; con Luna Calante - absentia in accrescimento - sia più influente l’astratto, da cui il nativo è più volto all’essere.
Albumasar, nel Liber introductorii maioris... definisce le proprietà della pars futurorum: «fede, profezia, religione, culto divino, segreti, pensieri, propositi, questioni occulte e nascoste ed ogni cosa che è assente, stima, lode, la buona educazione (curialitas), la generosità, il caldo e il freddo.» Ben si accordano tali definizioni alla natura - come distillata - del Sole e v’è persino la sua qualità prima, menzionata nelle sue due facce speculari: il caldo e il freddo.
Infatti se Tychê dipende dalla Luna, Daimôn dipende dal Sole e ne dipende proprio secondo quanto anticipato in chiusura al cap. precedente. Non - cioé - come una dipendenza di Daimôn dal Sole/ciclo illuminativo diurno-notturno: dipendente dal Sole come tale ciclo c’è già - a perfetta corrispondenza di Tychê - l’Oroscopo, ma come dipendenza dal Sole all’interno del ciclo qualitativo mensile.
Ecco dunque che, come nel ciclo diurno è presente l’oroscopo solare e l’occaso, limiti temporali tra giorno e notte, così nel ciclo sinodico sono presenti Tychê e Daimôn, confini spaziali tra qualità lunare e qualità solare. Daimôn è la spia del ruolo solare nel mese, è dove arriva la qualità solare nel ciclo sinodico o quanto ne occupa; l’Oroscopo è la spia del sorgere del Sole nel giorno, è quando appare il Sole nel ciclo diurno.
Rimane adesso da ripercorrere la logica che presiede al calcolo delle Sorti, in modo da capire se e come le ragioni del “mutare” nella notte coinvolgano le sorti lunisolari.
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A questo punto sembra di essere ritornati al punto di partenza o quasi: pur avendo ritrovato il filo che lega Tychê a Daimôn, reperiti confortanti riscontri in altri Autori per Tychê tolemaica e una palese contraddittorietà tra la prassi dell’inversione del calcolo e i significati corporei assunti nella notte dalla sorte del genio ricavata da essa, ancora si potrebbe obiettare che nessuna fonte autorevole argomenti Daimôn e il “non mutare” nella notte.
Ciò era facilmente prevedibile - altrimenti non sarebbe neanche nata la questione - né però basti a scoraggiare: credo sia comunque indicativo l’aver reperito tale coerenza e tale contraddittorietà proprio dove esse si sono manifestate.
Questa ricerca peraltro non avrebbe goduto di tanta pertinacia se non fossi partita da un convincimento di base, testimoniato a suo tempo anche da ‘Ali ibn Ridwân. Infatti, se interpretiamo correttamente quanto tale Autore dice su Tolomeo quando specifica che quest’ultimo intendeva condannare «…quelle sorti che sono prese da un luogo che non ha efficacia (virtus) ad un altro similmente carente, non già le sorti e i numeri che hanno effettiva partecipazione al giudizio», non possiamo sostenere la possibilità di una divergenza tra le concezioni astrologiche tolemaica, egizia ed araba pur constatandone le divergenze di prassi (credo dovute - almeno per le sorti - a perdite di memoria storica).
Detto in altre parole, credo che tutta l’astrologia classica si fondi necessariamente sul fatto che le previsioni astrologiche discendano dalle configurazioni astronomiche. Pertanto non potendo ammettere l’esistenza parallela di sorti lunisolari che poggino su tale principio (e che magari significhino alcune cose) e sorti lunisolari che ne prescindano (e magari ne significhino altre), ne consegue che la sorte lunare di Tolemeo e la sorte lunare menzionata nelle sette sorti del Panaretos è una stessa sorte, e poggia sulla legittimità astronomica. Del resto tutte le sue attribuzioni sono - pur nella loro varietà - concordi: prove ne siano le anomalie di significato di Daimôn nella notte riportate dagli Arabi, e la ricalcabilità del percorso di Tychê tolemaica nel testo di Valente sulle fasi lunari.
Detto questo, proviamo ad andare ancora un po’ oltre il punto in cui ci siamo ritrovati all’inizio di questo capitolo, ragionando in base agli elementi di cui disponiamo per trarre la Sorte: il senso o verso del lancio e l’ordine dei due astri.
Nel quadripartito (III, 10) vi è un passo, giudicato dai moderni filologi una interpolazione (ma non dal primo editore del XVI sec., Camerario, né dall’anonimo commentatore), che recita: «…dobbiamo osservare quale dei luminari segue l’altro (letteralmente: nota che conviene che noi osserviamo quale luminare si trova nelle parti seguenti rispetto all’altro). Se pertanto la Luna si trova nelle parti seguenti rispetto al Sole, il numero di gradi che lanciamo dall’oroscopo verso la sorte di fortuna deve essere riportato nel senso della sequenza dei segni. Se al contrario la Luna si trova nelle parti che precedono il Sole, il medesimo numero deve essere riportato nelle parti precedenti all’oroscopo. Ed è questa l’intenzione dello scrittore (pare che il riferimento sia a Petosiride), quando dice che in coloro che nascono di notte bisogna contare dalla Luna al Sole e di nuovo a partire dall’oroscopo nel senso delle parti precedenti. Ed in codesto modo anche questo è il luogo medesimo della sorte e manifesta il medesimo rapporto con l’oroscopo.»
Due le osservazioni:
1 - leggendo quest’ultima frase come: «Ed in codesto modo/ Adottando tale metodo/ anche questo è/ anche così si ritrova / il luogo medesimo della sorte… lo stesso luogo della sorte, che ugualmente manifesta il medesimo rapporto con l’oroscopo», si dichiara il luogo di Tychê invariato. Vale la pena ricordare che il rapporto tra sorte lunare e oroscopo - non solo come distanza ma anche come senso di percorso ovvero di posizione (destra o sinistra) - è solo uno (e non due), come del resto solo la sorte tolemaica rispetto alla Luna soddisfa entrambi i criteri di simiglianza (distanza e posizione) al rapporto oroscopo/Sole.
2 - La Luna si trova nelle parti che precedono il Sole dal plenilunio al novilunio, e pertanto ancora una volta, più che al ciclo diurno, qui ci si riferisce al ciclo mensile; è solo più avanti, quando si vuole spiegare l’intenzione dello scrittore, che si compie una sovrapposizione tra mese e giorno.
Infatti la Luna, precedendo il Sole, è giocoforza calante e se in questo caso bisogna riportare il numero di gradi (dalla Luna che precede al Sole che segue) nelle parti che precedono l’oroscopo, ciò suona come se venisse detto che dopo il plenilunio la sorte si verrà a trovare sopra l’orizzonte, ovvero nella medietà che si leva da esso, e - si badi - di notti o giorni non si fa menzione affatto. Piuttosto si afferma una condizione (Tychê sopra) e si facilita il conteggio, perché se in luna calante conto l’intervallo da Luna a Sole (« …conviene che noi osserviamo quale luminare…») ci sto di meno perché questo è l’intervallo minore, ma poi devo lanciarlo verso il culmine per ricavare il luogo giusto!
Allora che funzione dare alla frase «ed è questa l’intenzione dello scrittore, quando dice che in coloro che nascono di notte bisogna contare dalla Luna al Sole e di nuovo a partire dall’oroscopo nel senso delle parti precedenti»? Se si conta dalla Luna al Sole nella notte - quindi a prescindere dalla fase lunare - e il numero ricavato poi si conta di nuovo (anapalin) a partire dall’oroscopo nel senso delle parti precedenti, si ottiene anche in questo caso Tychê tolemaica. E se per l’avverbio anapalin, qui tradotto “di nuovo”, si adotta l’altrettanto possibile significato “al contrario, viceversa”, ciò non cambia nulla perché nella frase «…e al contrario a partire dall’oroscopo nel senso delle parti precedenti» esso assume piuttosto valore rafforzativo del senso indicato da oroscopo a culmine.
Rimane la perplessità di fronte a tale giro di parole che a prima vista non aggiunge nulla rispetto al brano precedente. In realtà credo si volesse così giustificare, in un tempo in cui ormai il dilemma era incentrato su notte e giorno e quindi all’interno di tale viziata impostazione, il “non mutare” che invece abbiamo visto discendere dalla natura mensile del ciclo, come esplicitano le frasi «Se pertanto la Luna si trova nelle parti seguenti rispetto al Sole” e “Se al contrario la Luna si trova nelle parti che precedono il Sole». Fu però questo un tentativo che non dovette convincere i contemporanei proprio perché, pur se giusto nell’esito, era privo di chiare esplicazioni delle cause (e forse anche ciò fa propendere per il fatto che di un’interpolazione si tratti).
C’è però un’ultima obiezione ed è la seguente: i termini da cui la sorte è tratta, il punto dell’inizio e della fine che ne misurano l’arco, sono i due significatori che, per loro natura, indicano l’oggetto stesso della sorte. Quando i due significatori concordano tra loro per la loro qualità diurna o notturna o per altre qualità, la sorte viene tratta a partire dal significatore piu forte. Ma quando i due significatori sono uguali in forza, e l’uno è diurno, l’altro notturno, l’arco verrà misurato a partire dal diurno in una nascita diurna, dal notturno in una nascita notturna. Questa è la regola di Ermete, che espone Albumasar (Introductorium in Astronomiam 8,3) e che conviene al lancio delle sorti, e quindi anche di Tychê e di Daimôn.
Certo, messo in questi termini, il discorso è inattaccabile. Proviamo a verificarlo con alcune delle sorti più importanti, scegliendole - per analogia - solo tra quelle che hanno per entrambi i termini un astro, e non un astro e una sorte:
sorte dell’attività: da Mercurio a Marte.
Mercurio, Marte e Venere sono, come sappiamo, gli astri da osservare per tale argomento. Di tali significatori, si è scelto un notturno tra Venere e Marte e si è assunto Mercurio con funzione di diurno. Per le nascite diurne si parte quindi da Mercurio, per le notturne da Marte.
sorte di malattia: da Saturno a Marte.
Saturno e Marte sono i due malefici di diversa fazione. Per le nascite diurne si parte da Saturno, per le notturne da Marte.
sorte del padre: da Sole a Saturno.
Sole e Saturno sono significatori che rispecchiano entrambi - com’è necessario - il genere maschile del soggetto rappresentato, ma entrambi appartengono alla stessa fazione, non essendo Marte idoneo alla funzione paterna. Allora per le nascite diurne si parte dal Sole, capo della fazione diurna; per le notturne da Saturno.
sorte della madre: da Venere a Luna.
Venere e Luna sono significatori che rispecchiano entrambi - com’è necessario - il genere femminile del soggetto rappresentato, ma entrambi appartengono alla stessa fazione. Allora per le nascite notturne si parte dalla Luna che è a capo della fazione notturna, per le diurne si parte da Venere.
sorte dei figli: da Giove a Saturno.
Giove e Saturno sono entrambi diurni, per cui si parte dal significatore più forte - che per i figli è senz’altro Giove in quanto astro fecondo - e si mantiene tale ordine di giorno e di notte (non muta).
sorte delle nozze: da Saturno a Venere.
Saturno e Venere sono i significatori che affiancano i luminari per l’argomento genitori, da ciò il ruolo di termini per la sorte delle nozze. Saturno è diurno, Venere è notturna ma si parte dal significatore diurno sia di giorno che di notte: perché?
Semplicemente perché la sorte delle nozze così ricavata è la moglie nel giorno e nella notte. Se parto da Venere, non trarrò la moglie nella notte, bensì il marito nel giorno e nella notte! Ovvero, la sorte non muta.
Questa è cioè una sorte che - se si invertono i termini (che sono, si badi, di sesso e fazione diversa) - dà un altro risultato che non il corrispettivo per le nascite notturne.
Procedendo nella disamina, ci si rende conto che per sesso e fazione i suoi significatori sono assimilabili ai significatori di Tychê, e che per ruolo ricoperto pure ad essi sono analoghi: infatti Saturno copre - all’interno della sorte delle nozze - il ruolo del maschio della coppia costituita, il marito, e da esso si parte perché più conforme alla genitura per quelle maschili, proprio secondo i principî ispiratori della regola d’Ermete. Venere, è ovvio, vi ricopre il ruolo della femmina della coppia, la moglie, e da essa si parte nelle geniture femminili.
La sorte delle nozze dunque contiene in sé la coppia intera e, a seconda dell’astro di partenza, indica o il marito (che per legge di natura riguarda la donna) o la moglie (che riguarda l’uomo). Ciò - si noti solo fuggevolmente - dovrebbe comportare che ad esempio, in un tema di soggetto maschile omosessuale, la figura del consorte, se risponde al ruolo “più attivo” nell’equilibrio di coppia, sia indicata dalla sorte Venere-Saturno.
Ma a parte questa deduzione - che andrebbe comunque verificata nella pratica - balza all’occhio l’analogia tra le sorti della coppia marito-moglie e della coppia spirito-materia. Tale analogia è data dalla coesistenza di due significati differenti e però complementari che sortiscono a seconda di quale termine si assuma per primo, e dal ruolo anch’esso differente e complementare rappresentato dai due termini in gioco, ma con un’unica e illuminante differenza: per la sorte delle nozze il significato sortito è indicativo di un elemento esterno al nativo perché non ermafroditi ma maschio e femmina siamo; per le sorti lunisolari i significati sono riferiti al nativo stesso perché considerato nelle sue due componenti di spirito e materia e pertanto ci concernono entrambe le sorti ricavate! Questa è la ragione effettiva per cui entrambe saranno segnate in genitura, e non perché trovato il luogo di una sorte, il luogo ad esso speculare è di per sé significativo.
A rigore di questa logica Tychê e Daimôn non devono mutare: dal Sole alla Luna si ricaverà la componente femminile della coppia che ci costituisce, la materia o più in specifico Tychê tolemaica e i suoi significati, come da Saturno a Venere si trae la moglie; dalla Luna al Sole si ricaverà la componente maschile della coppia, lo spirito o Daimôn e i suoi significati, come da Venere a Saturno si trae il marito.
Nessuna contraddizione con la regola di Ermete, massima aderenza a Petosiride: la sorte lunare quindi è una e una sola perché non può (sbagliato in tutti i sensi, astronomico e... astrologico!!!) sottrarsi alle proprie cause e avallare contraddizioni tra fenomeno apparente ed effetto immateriale per giustificare una diversa collocazione.
Ed echi di una coppia a similitudine umana si ritrovano in un argomento che, pur diverso, è tangente alle sorti lunisolari. Tale coppia, presentata come i progenitori celesti, e altresì intesa come una coppia di opposti si ritrova nel commento alla natività di Iskandar al-Sultân, governatore di Fârs dal 1409 al 1414.
Al-Kashî vi precisa che l’hylegh corrisponde al corpo e l’alcochoden all’animo. Pietro d’Abano, riprendendo la coppia hylegh-alcochoden = moglie-marito, madre-padre (già esposta in un passo del De nativitatibus di ‘Umar ibn al-Farrukhân al-Tabarî, tradotto da Giovanni di Siviglia) dichiara che il primo termine è analogo alla materia, il secondo alla forma (intesa come principio informatore), riconnettendosi così - per altre vie dalle nostre - ai valori lunari e solari. In questi termini aristotelici di forma-materia, è considerata da Nizâmî la relazione padre-madre: «quando l’influsso dei padri interagisce con le madri, e tutto lo spazio tra l’aria e il fuoco ne è pieno, avviene la generazione e la manifestazione del mondo animale.»
Questo il senso, da macrocosmo a microcosmo, delle sorti lunisolari: di natura diversa ma strettamente correlate, informano la vita spirituale e materiale del singolo uomo. Poggiando su questa ritrovata intelaiatura, ai riscontri nella pratica l’arricchimento in numero e qualità dei giudizi che ne provengono.
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Qui di seguito e in forma concisa, le conclusioni a cui si è pervenuti.
Le due Sorti lunisolari sono limiti o misure in divenire, e quindi contingenti e particolari, delle parti o quantità delle due qualità universali e generali dei viventi.
Tali qualità sono componenti necessarie e integrantisi, e derivando dai due luminari, trovano nel ciclo sinodico il tempo e il modo di interagire.
Proprio per tale derivazione e per tale modo di combinarsi, Tychê segna il variare della qualità lunare e Daimôn della qualità solare in un continuum che non varia dal giorno alla notte, non più di quanto variino le stagioni rispetto al moto diurno.
Per analogia alle qualità primarie, l’indice dato dalle Sorti si estende a tutte le pertinenze connesse raggiungendo così i pieni significati di Tychê e Daimôn. Pertanto, essendo Tychê corpo, beni, sostanze, ovvero “il più tangibile” rispetto a Daimôn che è intelletto, intenti, azioni, cioè il “più intangibile”, Tychê e Daimôn sono componenti integrantisi e necessarie, pur se con possibilità di proporzioni differentissime, in ogni singolo individuo, evento o questione.
Data la loro complementarietà e necessità, esse si connotano come coppia inscindibile costituente l’unità di ogni individuo, evento o questione e soggiacciono alla stessa logica che anima il ritrovamento della coppia sessuale scissa, per legge di natura, in due metà fisiche. Pertanto anche i dettami di Ermete non contraddicono l’invariazione di calcolo dal giorno alla notte.
Così le doti di una data fase lunare, che mutano di giorno in giorno e non dal giorno alla notte, vengono descritte dalle Sorti rispetto all’Angolo orientale associato al Novilunio quale nuovo inizio.
Quindi le Sorti sono significative di un ciclo lunisolare e su di esso poggiano, sono le misure dei due campi d’influenza e alle loro qualità corrispondono, sono portatrici dei significati connessi ad esse perché su tali analogie si fonda il pensiero astrologico e, più in generale, il sapere antico.
Questo studio sulle sorti lunisolari, finalizzato all’individuazione della dinamica che le genera e alla risoluzione delle contraddizioni su di esse pervenuteci, non ha uno spazio ulteriore per la ricerca sulla genesi delle altre sorti.
Esse oggi ci appaiono certo più indistinte nella loro fisionomia e più incomprensibili nel loro funzionamento di quanto non ci appaiano gli astri e, proprio per queste difficoltà che abbiamo nel recepirne le dinamiche, meriterebbero un apposito impegno.
Qui sarà utile ricordare solamente che le sorti costituivano un insieme organico trattato già da Ermete Trismegisto nel Panaretos, dove oltre alle basilari sette sorti planetarie ne sono enumerate altre, quali la sorte del padre, della madre, dei fratelli, dei figli, del matrimonio degli uomini e delle donne, etc.
L’anonimo compilatore bizantino che si prende la cura di una loro recensione (CCAG 8,3,190) dichiara che i Babilonesi e i Persiani impiegavano 97 sorti, divise in tre specie.
Albumasar a sua volta osserva «che le sorti fissate nei libri dei Persiani, dei Babilonesi e degli Egizi sono 97, divise in tre serie» (Introductorium 8,2).
Le stesse cose leggiamo in Ibn Ezra (Introductorium quod dicitur Principium Sapientiae) e in Guido Bonati (Tractatus astronomiae 8,2,1).
Ad eccezione di Tychê queste sorti cominciano ad essere trascurate già dagli astrologi del medioevo. Scrive infatti Guido Bonati (op. cit. 8,2,2): «La sorte del Sole oltrepassa, dopo quella della Luna, tutte le altre sorti e su tutte primeggia. Vi sono nondimeno astrologi che paiono non prendersi cura di questa sorte.»
Sulla base dell’antichità della loro comparsa, credo che anche per esse possa valere il convincimento che - come ho già detto - ha motivato questa ricerca: se non ne scorgiamo più le giustificazioni è perché abbiamo perso i collegamenti tra fenomeni e pronostici che stanno alla base dell’astrologia classica.
Più indietro si va nel tempo, più la consapevolezza di tali rapporti si fa piena e pura. E pertanto la strada della ricostruzione passa - a mio parere - attraverso la ben riposta fiducia nei palaioi e il sano discernimento verso coloro ad essi succeduti.
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