Giuseppe Bezza
I settori degli epicicli nei giudizi Schema 7-8, Marzo 1988. |
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El cielo es labrador para las gentes don Francisco de Quevedo |
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I corpi celesti luminosi svolgono una funzione verso il mondo terrestre? Gli astri sono generalmente chiamati theói - dii nel senso proprio di divinità siderali: superi, caelestes) - dagli astrologi greci, sono anime immortali in eterno moto e la conoscenza dei moti dei cieli fa partecipare l'uomo a ciò che è divino «prima del tempo» (V.Val. 241,13 Kroll).[1] L'etimo di theós è assai incerto. Erodoto afferma che i Pelasgi chiamarono in tal modo gli dei, in quanto essi avevano stabilito nell'universo l'ordine e l'assegnazione di ogni cosa (hoti kosmô thentes ta panta pragmata kai pasas nomas eichon; 2,52). theós da tithêmi, dunque: stabilire, disporre, legiferare (cfr. Xen. theinai theous, mem. 4,4,19).[2] Ma nel Cratilo di Platone (397d) leggiamo che i primi abitanti della Grecia chiamarono dei il Sole, la Luna, gli astri e il cielo «in forza della loro stessa natura, che è quella di correre, thein». Troviamo entrambe le etimologie in Cornuto: alcuni dissero che il cielo è un dio perché sempre corre, trasportato da un acuto fischio (o come scroscio d'acqua incessante). Ed anche gli astri sono sempre in movimento e sono stati pertanto chiamati dei per la corsa loro (theous apo tês théuseôs . Gli antichi chiamarono dei quanto si muove senza riposo e ritennero che essi fossero la causa dei mutamenti dell'aria e della conservazione del tutto, quasi dispositori (thetêres) e creatori di ogni cosa che nasce (theol.gr. 2, 13 - 3, 2 Lang).
In epoca ellenistica appare un nuovo attributo degli dei siderali: essi sono liturgi, termine con il quale vengono designate, in senso ristretto, le stelle fisse che consorgono con i trentasei decani della sfera;[3] in senso lato, ogni corpo celeste luminoso od ogni luogo del cielo onniabbracciante la cui esistenza sia fondata sui cicli luminosi, i breve: ogni elemento dell'universo (stoicheion tou kosmou) (Iambl. myst. 9,2);[4] leitourgós è il munifex (Firmico 2,4,4), il minister (Mart.Cap. 2,203),[5] colui che assolve il proprio incarico. Gli dei siderali ci appaiono quindi caratterizzati come servienti. Commentando il salmo 148: Laudate eum, sol et luna; laudate eum, omnes stellæ et lumen, Ibn Ezra osserva: «Fa menzione dei servienti, primieramente del Sole e della Luna, poiché sono i dominanti, e poi menziona tutte le stelle di luce, perché hanno luce grande, essendo vicine alla terra», ovvero i cinque pianeti.[6] Servienti sono le miriadi che assistono l'Eterno (Antiquus dierum ) nella visione di Daniele (7,10) e che la versione di Teodozione traduce fedelmente: eiletourgon autô, ministrabant ei. I cinque pianeti e i due luminari sono pertanto servienti, shammashin,[7] e il nome ebraico del Sole medesimo, Shemesh, «è derivato dal suo servire il mondo. Invero la radice semitica shamash sembra significare anzitutto “correre” ed inoltre si applica bene tanto al Sole quanto al servo, per ciò che ambedue corrono».[8] D'altro canto, così come il nome ebraico del Sole viene da stupor, «ut quem homines non sine quodam stupore intueantur»,[9] allo stesso modo theós è imparentato a théa, l'atto dell'osservare, del guardare con meraviglia, la contemplazione. Non abbiamo quindi timore di addentrarci nell’oscura selva dei paretimi e di stabilire una certa qual relazione tra gli dei siderali e la loro liturgia o ministero nel mondo. Se astêr significa fiamma, luce, e si dice del Sole e di ogni altro corpo celeste luminoso, e da qui il latino sterula e stella, il termine sidus ha etimologia incerta; ma Varrone narra che, se i segni dello zodiaco son detti signa perché significano una qualche cosa (signa quod aliquid significant), le stelle son dette sidera quasi imprimessero o penetrassero (insidunt) significando qualche cosa in terra con il loro ardere o in altro modo, come ad esempio un marchio di fuoco (signum candens) sul corpo di un animale (ling.lat. 7,14). Ora, l'ardore di ogni stella è concesso e moderato dal Sole, quindi da rapporti, figure, delle stelle al Sole; il Sole che, come dice Macrobio, è moderator luminum reliquorum: «Per eum fiunt planetae orientales et occidentales, apparentes et occulti».[10] Commentando quadr. 1,24 (de applicationibus et defluxibus; Boll-Boer 55,14), Alî ibn Ridwân (fo. 29r) espone la forza delle figure dei pianeti al Sole per gradazioni successive, quali dipendono da due cause principali: la variazione della loro luminosità e del loro moto e da due apparenze, l'una assoluta, l'altra relativa. Su questo fatto non sembra essersi posata l'attenzione degli astrologi del Rinascimento. Soltanto il Cardano, commentando il medesimo passo del quadripartito, dichiara sei stati, decrescenti in forza, dei pianeti rispetto al Sole:
e conclude: «Ex quo colligitur quod planetae habent sex status, et quod plus facit diminutio luminis quam motus».[11] Ma negli astrologi arabi e latini del Medioevo ritroviamo in forma più ampia un elenco canonico di queste gradazioni delle virtù degli astri in rapporto al Sole. Questo elenco comprende 16 stati sia per i superiori, sia per gli inferiori. Ne diamo le figure, quali possiamo desumere da Albumasar (Introd. 7, 2), al Qabisî (ap. V. Nabod, Enarratio pp. 302ss.), Ibn Ezra (Principium Sapientiae, in: Opera cc. 23r-v; Liber rationum, ibid. c. 36r), Guido Bonatti (Tractatus astronomie 3, 2, 5-7). Questi stati mostrano chiaramente che la maggior forza dei superiori e degli inferiori principia a partire dalla loro prima apparizione fino alla distanza esagonale: per i superiori quando sono orientali al Sole, per gli inferiori quando sono occidentali (seconda accezione). Sono, questi, gli archi del tashrîq, ove si produce la figura del principatus o ductoria o doryphoria. Dobbiamo tuttavia notare che, già sul finire del Medioevo, Giovanni di Sassonia non è in grado di comprendere su quale principio poggiano queste gradazioni successive. Come può infatti, egli si chiede, Venere o Mercurio distare 60 gradi dal Sole? e risponde: questa distanza deve essere assunta lungo l'epiciclo: «si vero non intelligeretur littera hoc modo esse falsa, cum non possibiles eos elongari a Sole usque ad 60 gradus in zodiaco».[12]
Queste distanze esagonali non sono una peculiarità dell'astrologia araba, ma le troviamo enunciate anche nella letteratura astrologica greca, segnatamente in un testo di grande interesse tecnico, quale il De astrorum figurationum nominibus di Sarapione d'Alessandria: gli astri mattutini e non combusti (heôoi anatolikoi) indicano il fiore dell'età; e in particolare quelli che si trovano nel primo esagono la giovinezza, mentre i vespertini non combusti (hesperioi anatolikoi) e quelli che si trovano nel secondo esagono la vecchiaia.[13] Primo e secondo esagono designano rispettivamente archi di tashrîq e di taghrîb, ma questi archi non sono computati né sull'epiciclo, né sullo zodiaco: sono quantità di archi diurni. Ciò appare a noi chiaramente dall'esposizione del Bonatti della dustoria[14] e, ancora più nitidamente, dalla definizione di Albumasar (Introd. 7, 2) delle affectiones 4, 5, 13, 14 degli astri superiori: il quarto e il quinto stato sono pari alla quantità dell'esagono e del quadrato, mentre il tredicesimo
La rivoluzione sinodica di un corpo celeste è intelligibile in assoluto grazie agli strumenti e alle tecniche dell'astronomia. Inoltre, in quanto ciclo luminoso, è intelligibile al senso umano grazie alle facoltà percettive del senso umano medesimo. Se l'inizio della rivoluzione sinodica di un pianeta può ben essere la synodos, coitus con il Sole, nondimeno la luce dell'astro non appare che qualche giorno più tardi e in tempi diversi ai diversi luoghi della terra. Diverso ad ogni orizzonte è l'inizio del ciclo luminoso di una stella, diverso il suo termine, diversa la quantità del suo arco.
Ogni apparenza celeste in senso assoluto (katholou) muta in virtù della direzione visuale dello sguardo che ne coglie il fenomeno. Così, ad esempio, l'orientalità del pianeta superiore, la quale è effettiva, nella sua assoluta apparenza, fino alla sua prima stazione, muta a sua volta in virtù delle coordinate orizzontali e non può superare il quadrante compreso tra l'oriente e il culmine.[15] Questo è il senso del tashrîq e del taghrîb, dei quadranti mattutini e vespertini al Sole. E poiché la mutazione dei fenomeni apparenti, quali dipendono da un dato orizzonte, non si contrappone e non contraddice i fenomeni celesti in assoluto, anzi: essa sola ne definisce l'effetto (hê poiêtikê dynamis), gli astrologi non fortuitamente hanno nominato i diversi momenti della rivoluzione sinodica di un pianeta in virtù di entrambi i fenomeni. Questo adunque è il senso delle figure 1 e 2, ove vi è compenetrazione tra le figurazioni assolute e quelle relative, tra quelle assunte in zodiaco et in mundo, per usare un'espressione placidiana meno rigorosa, certo, ma forse di più immediata comprensione. Ecco dunque che la stella di Venere può ben allontanarsi dal Sole di una distanza esagonale, limite dei suoi quadranti mattutini e vespertini. Infatti queste figure, osserva Guido Bonatti, devono essere assunte «secundum zodiacum et eius gradus et non secundum eccentricum vel epicyclum».[16] Conviene ora brevemente descrivere queste gradazioni successive, iniziando dal momento in cui il pianeta è sub radiis Solis, ciò che ha una triplice forma:
Se l'astro che si trova nella luce del Sole è privo di forza, ha nondimeno pieno vigore quando è nel medesimo grado del Sole; questa condizione è recensita da Sahl ibn Bishr nell'elenco delle 11 forze significanti degli astri: i benefici aumentano i loro beni, i malefici diminuiscono i loro mali.[17] Egkardioi sono gli astri che si uniscono (synodeuontes) al Sole nel medesimo grado in longitudine o in larghezza (peri moiras ê para moiras): «Nessuno fra gli antichi (archaioi) fa menzione di questa fase, noi l'abbiamo tuttavia assunta per certa avendola valutata sperimentalmente; ed anche Tolomeo parla della fase sinodica tacendone la forza».[18] In corde Solis vale quindi synodikos:
Queste le principali testimonianze greche, da cui possiamo concludere che tale condizione si produce quando il pianeta è nel medesimo grado del Sole in longitudine o in larghezza.[20] Dal canto loro gli astrologi arabi limitano questa condizione a 16', pari al semidiametro del Sole:
Il samîm costituisce il punto di maggior influsso del pianeta: i suoi significati sono di prosperità e di buone nuove.[22] Samîm indica l'osso principale di un arto, ciò che è essenziale, il nocciolo, la parte più intima di ogni cosa e specie. Da qui passò a significare il centro, il nucleo, il cuore stesso; l'aggettivo samîmî significa 'cordiale', 'sincero' sia nell'accezione morale, sia rispetto alla genuinità della stirpe; min samîn corrisponde all'espressione francese “avoir à coeur”, 'an samîmî nel profondo del cuore, onde al-Khatib canta: con i versi ho circuito il suo cuore (samîmika).[23] Gli antichi ammisero generalmente che la luce del Sole occulta ogni altra luce celeste per un arco di 30°, 15 avanti e 15 dietro. Ora, quando il pianeta viene occultato dal Sole, si indebolisce quando dista 15° e a 7° inizia la sua maggior debolezza; quindi è nel cuore del Sole; poi fino alla distanza di 12° è assolutamente privo di forza, ma a partire da 12° ha potere e quando dista 15° ha la maggior forza.[24] La distanza di 15° costituisce il limite di visibilità ed è chiamata phôsporia, il sopravvenire della luce: allora il pianeta sorge dai raggi del Sole. Sembra pertanto che gli astrologi abbiano distinto cinque condizioni dell'astro celato sotto la luce del Sole: a. nel cuore; b. la combustio o adustio (ihtirâq) che è duplice: prima e dopo il Sole; c. l'esser liberi dalla combustio, ma ancora invisibili alla vista (sub radiis tantum, taht al shu'â') ed anch'essa è duplice. Questa tripartizione non la troviamo negli astrologi greci, per i quali upaugoV, subradiatus è l'astro celato dai raggi solari, sia esso precedente o seguente il Sole,[25] ma riscontriamo un criterio più consono all'osservazione dei fenomeni, secondo l'enunciato di Retorio: hypaugoi son detti gli astri che si trovano nella luce del Sole davanti o dietro e ciò si conosce dal computo delle fasi (CCAG 1 160,2). D'altro canto, commentando quadr. 4,4 (de actionibus seu opificio nati), Efestione di Tebe cita il verso di Doroteo: “brama l'agire l'astro che di ogni negozio è manifesto” ovvero che appare alla vista, l'astro, dice Efestione, che più da presso ha compiuto l'apparenza mattutina.[26] E poiché la vita umana consta di alterne vicende comprese in un dato arco di tempo, sempre gli astrologi considerano attentamente se l'astro che all'istante natale è nella luce del Sole compirà o ha compiuto apparenza nello spazio di sette giorni o, se vogliamo presumere, un quarto della rivoluzione sinodica della Luna.[27] Questo criterio ci sembra corrispondere alla distinzione tra pianeta combustus e pianeta sub radiis tantum. E' comune opinione che il pianeta combusto sia debole, benefico o malefico. La combustio sminuisce la bontà dell'astro benefico, come pure la malignità del malefico.[28] La combustione è il minimo dell'influsso,[29] in tale stato il pianeta è privo di ogni virtù, quasi il Sole lo rendesse simlile a uno zero:[30] «il male del malefico è meno greve, il bene del benefico è mediocre» (Zahel, op.cit. CCAG 5/3 101,20), è disarmato e non può portare compiutamente a termine ciò che significa (ibid. 101-102) e allora indica le cose più vili; e poiché il combusto non ha la capacità di significare ciò che è illustre e distinto, sempre porta con sè una qualche molestia e fatica (ibid. 100,20). Leggiamo in Sarapione d’Alessandria:
Nondimeno, pur se combusti, i pianeti si rallegrano se sono nei loro troni, idiothronountes,: «i benefici spandono i loro beni, i malefici mutano la loro natura al ben fare».[32] Ma in generale:
Invero, se il signore della sorte della Luna è infelice indica infelicità; se è combusto, certo non dà beni (CCAG 9/1 177,9). Se la sorte della Luna è nell'VIII luogo e il suo signore o il signore dell'oroscopo è nella luce del Sole, il nativo mendicherà e tenderà la mano (V.Val. 64,11 Kroll) e se Mercurio è signore delle sorti dei luminari è insensato e indigente (ibid. 64,16). Se Giove è nella luce del Sole dalla parte seguente al Sole (upo dusin) dà speranze, non certezze (ibid. 38,27), mentre Venere arreca afflizioni a causa della moglie e dei figli (ibid. 39,23).[34] Quando Mercurio è combusto conviene, in generale, agli accusati e a chi agisce segretamente; ciò vale di norma per tutti gli astri: nelle controversie l'oroscopo indica il querelante, il sommo del cielo il giudice, l'occidente colui che è citato in giudizio, il culmine inferiore la sentenza e, se il signore dell'oroscopo e il signore del tramonto sono combusti, vi sarà un rinvio del giudizio.[35] Nell'elenco delle condizioni malvagie degli astri (di cui alla nota 35 in fine) sovente troviamo unite la combustione e la retrogradazione. Nondimeno, osserva Lucio Bellanti, non la retrogradazione, ma la combustione è l'infortunio maggiore, giacché nulla è peggiore che l'esser privo di forza.[36] Osserva quindi l'astrologo senese: primo, i combusti non permangono a lungo in tale stato; secondo, non perdono completamente le loro forze. Se, infatti, il Sole è come il re la cui presenza aliena le altrui forze, nondimeno urbem suam illustrat (7,4). Ora, l'influsso del Sole è ssimile o diverso o contrario all'influsso dell'astro che è nella sua luce, ma in ogni caso la forza del Sole prevale: prevale se l'influsso è simile, giacché la virtus Solis è più forte, prevale se l'influsso è dissimile o contrario all'influsso dell'astro nella sua luce, poiché l'impronta del Sole è più efficace. In particolare, gli astri maschili, ove l'umido è minore o assente, meno soffrono l'unione al Sole: segnatamente Marte e Mercurio quando ha moto diretto, quindi Saturno e Giove. Al contrario la Luna e Venere, astri femminili per il prevalere dell'umido, ché sentono maggiormente il danno nella combustione.[37] La condizione di Venere rispetto al Sole, osserva 'Ali ibn Abî al-Rijâl, è simile alla condizione della donna rispetto a quella dell'uomo e quand'ella giace con lui cresce la di lui umidità; per ciò Venere è significatrice delle piogge, dei nembi e dei temporali.[38] Vi è poi un diverso significato tra i gradi che precedono e che seguono il Sole:
Questo passo richiama alla mente la metafora di Mashâ'allah: il Sole è il fabbro che purifica le stelle dalle loro scorie. Quando i pianeti entrano nella combustione, leggiamo in Giovanni di Eshenden, «liquefacit eas Sol per suam combustionem vel calorem et exsiccat earum humiditatem et impedit eas secundum quantitatem inimicitatis substantiae Solis ergo substantias earum».[40] La combustione è lo stato che precede e preannuncia un nuovo ciclo luminoso e in un ciclo luminoso il pianeta indica diverse qualità e diversi tempi: se all'atto di un'interrogazione l'astro che significa il proposito o il quesito dell'interrogante è combusto, l'evento da lui significato non avviene se non quando incoeperit apparere ille planeta de sub radiis.[41] Un astro sub radiis è simile a chi soffre, la sua forza l'abbandona e quando esce de sub radiis significa incremento e compiutezza, augmentum et perfectum.[42] Quando entra nella luce del Sole è come un vecchio decrepito e infermo, senex decrepitus qui aliquem morbum patitur, quando esce dal fulgore solare è tenero fanciullo, puer subtilis: bada allora che un malefico non l'osservi! lo guasterebbe e lo condurrebbe a morte.[43] Il Bonatti, in questo passo, aveva certo alla mente un luogo del Liber mysteriorum di Abû Ma'shar:
Le diverse condizioni dei pianeti, le loro gradazioni successive in virtù della luce e del moto furono dette phaseis, termine che, come il latino species, indica l'apparenza e i generi dell'apparenza. Così come le fasi più cospicue della Luna sono quattro, allo stesso modo quelle dei pianeti che Tolomeo recensisce (quadr. 1, 8)[46]. Da qui la definizione di Sarapione:
In un passo fondamentale (De significatione temporis ad iudicia) Sahl ibn Bishr dichiara succintamente queste fasi nel contesto dei generi delle figure che significano i diversi tempi:
Di queste diverse fasi i giudizi sono copiosi. Marte stazionario prolunga la guerra, il contrario quando non staziona. Quando è nella luce del Sole risolve il conflitto con l'inganno, ma se è brillante (anatolikos) in modo manifesto.[49] Gli astri che dall'occultazione si dirigono alla prima apparizione (hoi apo krypseôs epi phasin anatolikên erchomenoi) convengono a coloro che divulgano appertamente e dopo poco tempo ciò che è stato detto, è funzione dell'araldo (tais de phanerôsesin hoi anatolikoi)[50] e l'araldo per eccellenza è la stella di Mercurio, onde l'apparire delle comete segue l'apparire di Mercurio dalla luce del Sole: all'oriente nelle apparizioni mattutine di Mercurio, all'occidente in quelle vespertine (CCAG 5/3 97,32). Dice d'altro canto Demofilo che nelle geniture le fasi orientali degli astri, come pure le esaltazioni e le angolarità, devono essere ritenute forti e significano il vigore, l'appariscenza (epiphaneia), il buon esito delle azioni, ma le fasi occidentali, come pure la lontananza dagli angoli (akentrotêtos) sono deboli e significano ciò che è languido, subordinato, l'oppressione dei superiori, la perdita e il decadimento. Le retrogradazioni significano il degrado, l'esilio, la simulazione. Le stazioni, in generale, la ricchezza e la garanzia, ciò che è stabile, saldo e prospero. In modo succinto, Giuliano di Laodicea:
Queste fasi sono brevemente descritte da Vettio Valente nel quattrodicesimo capitolo del quarto libro, consacrato all'indagine dei tempi futuri:
Queste fasi furono paragonate a passioni umane: il pianeta nella luce del Sole e che si appresta ad apparire è come il malato che va alla guarigione e quando appare ed è orientale acquista ogni sua forza ed è nella condizione di concedere ogni suo beneficio; alla prima stazione appare soffocato, disperato; dalla prima stazione all'acronicità[52] è inerte e depresso, dall'acronicità alla seconda stazione ha la speranza del soccorso e nella seconda stazione tale speranza è confermata ed è prossimo alla liberazione.[53] L'acronicità distingue il moto del pianeta; questa condizione non è dissimile dall'unione dell'astro al Sole: Manetone, dopo aver esposto i giudizi relativi alla compresenza dei pianeti con il Sole, aggiunge: «simili sono i loro effetti quando appaiono opposti al Sole» (2,436). Il Papiro di Michigan III 149 (11,11) chiama i pianeti che superano l'acronicità palinphoitoi, recurrentes: il moto sinodico del pianeta è pertanto diviso in due emicicli distinti: dall'unione al Sole all'opposizione il cursus, dall'opposizione alla successiva unione il recursus e i recurrentes sono sfavorevoli nei loro effetti, leggiamo in PMich (loc.cit.). Currentes sono gli orientali, recurrentes gli occidentali nella prima accezione, quella tolemaica. In questo senso accettiamo la sentenza del Cardano: «Planetae orientales candorem significant, occidentales obscuritatem».[54] Gli effetti dei pianeti orientali sono più sinceri, più copiosi, tali Venere e Marte orientali che significano l'abbondanza del coito (Bonatti 5, 131). Giove orientale indica lavoratori onesti e giovani, ma se è occidentale si approssimano alla vecchiaia; e se Giove ha moto diretto i lavoratori continuano l'opera loro con utilità e frutto, se è retrogrado se ne allontanano, l'abbandonano (Idem 6,2,4,3). Il pianeta orientale significa un bene (Idem 6, 2, 5, 5)[55] e sempre si raccomanda di osservare l'orientalità o l'occidentalità del pianeta per conoscerne la forza, il tempo, la sincerità del suo decreto. Solo dopo aver stabilito queste distinzioni è possibile spiegare i diversi effetti degli astri nell'epiciclo a seconda del loro dominio sul corpo e sull'anima. Ma innanzitutto occorre definire i diversi modi delle loro operazioni considerando altresì il loro moto nello zodiaco e nel mondo. |
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[1] Cfr. Anth. pal. 9,577: «So che mortale nacqui ed effimero; ma quando degli astri le spirali e le opposte corse ricerco nella mente, non calco più la terra coi miei piedi, ma al sacro banchetto del divino Zeus mi nutro di limpidissima ambrosia»; V.Val. 173,23; 330,20 Kroll; Giuliano di Laodicea, CCAG 4 104,4; Stefano di Alessandria, CCAG 2 183,7. [2] tithemi, "porre, stabilire", proviene dalla radice indoeuropea dhê, il cui significato è «poser d'une manière créatrice, établir dans l'existence, et non pas simplement laisser un objet sur le sol» E. Benveniste, Le vocabulaire des Institutions indoeuropéennes, Paris 1969, II, p. 101. Sul rapporto semantico theos-tithêmi cfr. lo studio di Gallavotti in "Studi e materiali di storia delle religioni" 33.1962,25-43. [3] W. Gundel, Dekane und Dekansternbilder, Hamburg 1936, p. 266. [4] In questo passo di Giamblico leitourgos è epiteto delle immagini zodiacali e degli astri, come osserva a ragione W. Stratthmann (Theologisches Wörterbuch zum N.T. hsg. von G. Kittel, Stuttgart IV 236), ma forse comprende altro di più specificamente tecnico in senso astrologico. [5] Cfr. la traduzione e il commento del secondo libro di Marziano Capella a cura di L. Lenaz, Padova 1975. [6] M. Steinschneider, Aven Hatan e le teorie sull'origine della luce lunare e delle stelle presso gli autori ebrei del Medio Evo, Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche 1.1868, 8. [7] cfr. Boraita di Samuel c. 5 cit. da M. Steinschneider op.cit. 10: «questi sette servi (shammashin), cioè i due luminari e le cinque stelle, la luce dell'uno non è la luce dell'altro... la luce del Sole non è come la luce della Luna, siccome la luce della Luna non è la luce delle cinque stelle». [8] M. Steinschneider, op.cit., pp. 10-11 e i riferimenti a sostegno. [9] G. Gesenius, Thesaurus linguae hebraicae et chaldaeae Veteris Testamenti, Lipsiae 1848, s.v. [10] Andalone di Negro, op.cit., c. 149r. [11] Op.cit. Opera V, p. 167. L'osservazione del Cardano è esattissima: nella sua rivoluzione sinodica, che si compie in mesi 19,5, Venere ha moto velocissimo tre mesi prima e tre mesi dopo la sua congiunzione superiore al Sole, ma nel primo caso è debole, nel secondo è fortissima. [12] Libellus isagogicus Abdilazi, idest servi gloriosi Dei, qui dicitur Alchabitius, ad magisterium iudiciorum astrorum interpretatus a Ioanne Hispalensi, scriptumque in eundem a Ioanne Saxonie editum, Venetiis 1512, 54 r. [13] CCAG. 8/4, p. 230,7. [14] op. cit. 3, 2, 7: «et ut sit planeta in aliquo angulorum ascendentis; et aliquod ex luminaribus quadrature illius planete. (...) ita scilicet quod cadant inter eos 90 gradus, inter planetam scilicet et luminare». Una simile amfibologia di termini è frequentissima nei trattati medievali e talora rende gli enunciati inintelligibili, onde non è tra le minori ragioni dell'abbandono, da parte degli astrologi del rinascimento, della letteratura medievale. [15] Questo assioma è incontrovertibile nella letteratura astrologica e lo ritroviamo anche in testi privi di contenuto tecnico, ad es. Hermippus 44,11 Kroll-Viereck: oltrepassato il meridiano e declinando verso il tramonto, ogni astro mostra una minore energia. [16] op. cit. 3, 2, 5. L'espressione secundum zodiacum non tragga in inganno. Se Placido Titi si è affaticato a distinguere tra figure in zodiaco et in mundo, ciò era un problema del suo tempo, ma fino al Medio Evo una tale distinzione era parte integrante della tecnica. Il suo abbandono non è dovuto ad un'ignoranza astronomica, ma dei nomi tecnici e dei principi astrologici che corrispondono alle figure astronomiche. D'altro canto, la disuguaglianza dello zodiaco nella sua rotazione diurna essaendo palese da un lato, dall'altro essendo noto il principio della divisione oraria, zodiacus assumeva sovente l'accezione di primum mobile. Non diversamente negli scrittori greci: zôdion designa: a. il segno immateriale dello zodiaco, b. la costellazione, c. un arco di 30° nel cielo, anche assunto al di fuori del circolo zodiacale, ad esempio su un circolo orario; cfr. Strabo geogr. 3, 5, 8: «Quando la Luna dista un segno dall'orizzonte il mare comincia a gonfiarsi...». [17] Excerpta ex secundo libro Zahelis Iudaei CCAG. 5/3 p. 101, 27; 109,30. Il medesimo enunciato in Andalone di Negro op. cit. fo. 168r. [18] Rhetorii quaestiones astrologicae ex Anthiochi thesauriis excerptae CCAG. I 145,26. Cfr. l'importante testimonianza di Demofilo: in quanti modi si compiono gli effetti degli astri: «10. quando i pianeti sono nel cuore del Sole, ovvero grado per grado (moira proV moiran); allora i benefici rendono durevole il bene, i malefici il male» (Wolf 203; CCAG 5/4 227,11). [19] Sarap. Al. op. cit. p. 230, 19. [20] Diciamo in larghezza volendo significare l'amplitudine ortiva. In verità si potrebbe pensare che la partecipazione del pianeta alla luce del Sole (hê tou phôtos tou hêliou metousia) avviene per longitudine (peri moiras) o per identità di archi diurni o notturni (para moiras). Se l’espressione in corde solis sembra essere intesa dagli astrologi arabi nel significato di in corpore solis, nondimeno Omar, De nativitatibus c. 6r, e Zahel, Introductorium de principiis iudiciorum (in Haly Heben Rodan op. cit. c. 127r) fanno menzione di un grado integro. [21] Al-Bîrûnî, Tafhîm 296,481. [22] op. cit. pp. 298, 486; cfr. Ibn Ezra, Liber rationum, in: Opera, c. 36r: «diameter solis est circa 31 minutorum cum dimidio. Et a centro circa 16 minuta. Ideo dixerunt quando stella ita extiterit reputabitur ac si esset in centro»; cfr. Principium sapientiae, in: Opera c. 22r; Albumasar, Introd. 7, 2; 7, 4 (Luna); 7, 6 (pianeti: zamim est conditio fortunata); Bonatti 3, 2, 7; 5, 13: ogni stella in zanu solis efficitur fortis; in zamini 5, 53; cfr. 5, 124; 5, 130; 8, 1, 115. Cfr. Ibn Ezra, Principium Sapientiae, in: Opera c. 27v: «Planeta in corde Solis: ut sedens cum rege insimul sede». [23] cfr. Lane, Arabic English Lexicon s.v. Non so per quali mutazioni il termine samîm sia divenuto cazimi alla fine del Medio Evo, forse da kasamîm, "quasi nel cuore". Cfr. G. Vitali op. cit. p. 98, 58. E' nondimeno inutile fatica cercare un etimo arabo a cazimi, come fa A. Volguine nella recente edizione francese del trattato sulle rivoluzioni degli anni di F. Giuntini (Paris 1960). Cfr. cazimi in G. B. Morin, che ne rifiuta, come ridicola, la qualità: «si combustio vires planetarum supprimat, centralis potissumum supprimet cuius contrarium veteres omnes censuere», Astrologia Gallica, Hagae Comitis 1656, 16, 3, 5 p. 381. Il Morin è l'autore di una singolare asserzione: da un lato vuole dimostrare (libro XI) che gli astri non agiscono mediante la loro luce, dall'altro afferma (p. 379) che gli antichi ignoravano che il limite di combustione fosse diverso per ciascun pianeta. Quanta accidia in quelle pagine! [24] Zahel, Introductorium, cit., cc. 126v-127r; cfr. Excerpta ex secundo libro Zahelis Iudaei CCAG 5/3 p. 101,27; Ibn Ezra Principium Sapientiae, in: Opera c. 23v: combustio per i superiori fino a 6°, ma per Marte fino a 10°; per gli inferiori fino a 7°. Albumasar, Introd. 7, 2: per Saturno e per Giove l'adustio è fino a 10° quando sono destri al Sole; 6° quando sono sinistri, 10° per Marte sinistro, per gli inferiori 7°. Cfr. Bonatti 3,2,5; adustio entro 12°: Albenait, in: Liber novem iudicum in iudiciis astrorum, Venetiis 1503, c. 14r. [25] Antioco CCAG 8/3 pp. 108,1; 115,1; cfr. CCAG 8/1 p. 199,9; scolio 50 a Paul.Al. (Boer 119,16); Heliod. 12, 18. Ma cfr. Heliod. 19, 4: gli astri sono deboli e inefficaci a produrre gli eventi quando distano dal Sole 6 o 5 gradi; il contesto fa presumere che si tratti dell'occultatio vespertina per i superiori e di quella vespertina e matutina per gli inferiori. [26] Doroteo fr. 38 V. Stegemann; Heph. I 168,10 Pingree. Allo stesso modo che nel matrimonio delle donne la qualità del marito si trae dal pianeta mattutino al Sole (quadr. 4, 5; p. 186,1 Boll-Bœr) e non nella di lui luce (giacché ha da essere anatolikos, Anon. Wolf p. 154), così nelle azioni si deve considerare non l'astro «che si unisce al Sole, giacché allora sarebbe combusto, ma quello che ha compiuto la più prossima apparenza mattutina» (Heph. I, p. 168,19). [27] Doroteo 1, 27, 24; 3, 1, 6; Paul. Al. p. 76,3; CCAG 2 p. 190,26; CCAG 5/3 p. 88,12; Rhetorii Aegypti capitula selecta CCAG 8/4 p. 208,13; Rhetorii Aegypti excerpta nova CCAG 8/1 p. 240,10 ove non si deve leggere meta zôdiou hêmeras, come trascrive il Cumont, ma meta hepta hêmeras, cfr. Abenragel c. 33r. [28] E' un'opinione generalmente condivisa dagli astrologi di ogni epoca, tranne alcune eccezioni: cfr. G. Vitali, op. cit. p. 118,147: «quod male aliqui non admittunt». Cfr. Andalone di Negro, op. cit. c. 149r-v: «Quando autem aliquis planeta iungitur corporaliter aut sit bonus aut sit malus, destruit, extinguit, comburit et mortificat virtutes et operationes ac lumen illius, propterea <Sol> appellatur bonus quia destruit malitiam mali planete et malus quia destruit bonitatem boni». [29] Al-Bîrûnî, Tafhîm 298,486. [30] Cfr. CCAG 8/1, p. 199.9: pas astêr plêsiazôn tô hêliô pro pentekaideja moirôn ê meta pentekaideka moirôn kai kryptomenos hyp’autou ê kai kaiomeos ouk esti agathos, all’epiblabês; ho gar hêlios epikratesteros kai dynatôteros ôn, tên dynamin tôn plêsiazontôn, toutous amblynei pantelôs kai poiei aujtous ouden. [31] CCAG 8/4 230,38. [32] Sarap. Al. ibid. 231,13: Luna in Toro, Marte in Scorpione, Sole in Leone, Saturno in Acquario ecc.; cfr. Balbillo ibid. p. 237,8: in una natività ove sorge il primo grado dei Gemelli, il Sole nell'VIII luogo, la Luna nel IV non possono essere afeti, ma lo è Saturno, a 4 gradi Capricorno nel VII luogo, giacché ha maggior diritto nella genitura ed è “nel suo trono”. Su questa genitura, ricopiata con esemplare negligenza, cfr. O. Neugebauer, H.B. van Hoesen, Greek Horoscopes, Philadelphia 1959, pp. 76-78. Cfr. D. Pingree, The Horoscope of Constantine VII Porphyrogenitus, Dumbarton Oaks Papers, 1971, p. 226 (8,15; 9,10): Saturno in Acquario e Marte a 3 gradi Cancro sono nei loro troni, Marte segnatamente per trigono e confini (228; 16,5). Cfr. Heph. I 198,13. [33] Il passo figura nei manoscritti della famiglia d che recano il testo di Paolo d'Alessandria (Boer 68) e riappare alla lettera in Retorio CCAG 8/4 p. 171,2. Cfr. Heph. I, p. 157,14: regola generale riguardo alle sorti è considerare se il loro signore è splendente (exaugos) o nella luce del Sole (hypaugos) o se è sul punto di essere occultato (ê mellê kryptesthai eggys) e cita il verso di Doroteo (posto ad epigrafe del capitolo seguente): «Se per breve tempo risplende, subito si spegne ciò che ha in sorte»; cfr. Abenragel op. cit. c. 5v: «Si fuerit rex, aspicias ei a planeta lucente». [34] Heph. III, 38; I, p. 297,3. Cfr. Giuliano di Laodicea CCAG 5/1 p. 189,15; Omar, op.cit. cc. 14r-v. Sull'analogia: combusto - azioni segrete, splendente - azioni manifeste, cfr. Excerpta ex Palchi libro apotelesmatico CCAG 9/1 p. 158,23; V.Val. p. 117,25 (Venere e Marte nella luce del Sole: adulteri segreti); CCAG 5/1 p. 207,13; p. 207,2 (i vizi sono manifesti od occulti a seconda dell'anatolê o della krypsis di Venere e di Marte, di Venere e di Saturno); Retorio CCAG 8/4 p. 155,26 (Marte nel sesto luogo combusto dà sofferenze nascoste alle viscere od emorragie secondo la natura dei segni). Ma il combusto indica altresì ciò che è vile e di poco prezzo: se il signore del settimo luogo è hypaugos o cade nel quarto luogo, l’ipogeo, osservato dai malefici, produce unioni con donne scostumate o serve (Retorio CCAG 8/4 p. 159,9). Venere combusta in segni licenziosi ed osservata da Saturno e Marte fa gli osceni, coloro che sono trasportati dalle passioni, aselgeis (ibid. p. 194,15). Indica ciò che non è durevole: se il signore dell'VIII luogo è in X, XI o V, nelle proprie dignità e splendente, exaugos, indica l'eredità, ma se è hypaugos subito l'eredità si sparpaglia (ibid. p. 161,18); che il signore della triplicità del luminare del tempo non sia retrogrado o combusto (Doroteo 1, 22, 8), che se è combusto i beni non saranno stabili (1, 25, 4); se il signore della sorte lunare è orientale le sostanze dureranno a lungo, ma se è combusto ne rimarrà ben poco (1, 27, 26). Indica ciò che è malagevole e molesto, ciò che è oscuro, affatto privo di armonia: se il signore della sorte delle nozze è sotto i raggi (dytikos) e in luogo operoso, nel matrimonio vi sarà gelosia e discordia (V.Val. p. 119,4). Indica un danno nei tempi futuri, se è un malefico: se Saturno fa il proprio ingresso, epembasis, in opposizione alla Luna, essendo hypaugos: malattie (Doroteo CCAG 2 p. 195,25). Ma i malefici sotto i raggi del Sole non hanno forza alcuna nell'uccidere, i benefici nel soccorrere (quadr. 3, 11; p. 134,20) secondo il detto di Abenragel: «Vita non est nisi per lucem et visionem aeris», op. cit. c. 33v. Il combusto indica quindi la mancanza dell'effetto: se il signore delle nozze è combusto o lo è Venere, è tra i segni di celibato (Doroteo 2, 4, 27; 2, 5, 6); in generale, il combusto non può assumere il dominio di una questione, essendo necessaria la phasis, l'ortus dell'astro (Heph. I, p. 42,18; cfr. Sarap. Al. 8/4 pp. 231-232); se Saturno è combusto, non si può da questo astro trarre la sorte del padre (Paul. Al. 58,16; Albumasar CCAG 11/1 p. 187,11), il combusto non può significare le azioni (Heph. I, p. 168,20; cfr. Ibn Ezra, Liber nativitatum et revolutionum earum, in: Opera c. 57r). Di norma, il combusto non assume l'oikodespotia ovvero non è alchocoden (Heliod. p. 142,5 Boer; cfr. Retorio CCAG 8/1 p. 240,10; Doroteo 3, 1, 1) e se un combusto testimonia l'alchocoden toglie anni (Heliod. p. 143,26; cfr. Omar, op.cit. c. 5r: combustio alchocoden significat paucitatem vite; alchocoden sub radiis est quasi cecus et non poterit recipere ex fortunis augmentationem, nisi sit cum Sole in uno gradu, quia ibidem est fortuna quam esse poterit). Se i signori della sorte della Luna e del Sole sono combusti concorrono a significare la mortalità infantile (Retorio CCAG 8/4 pp. 119,9; 161,9) e se pur deve essere alchocoden, il combusto dà alla vita i suoi anni e mesi minori (Retorio CCAG 8/1 pp. 238,15; 239,15); cfr. Mâshâ'âllah ap. Haly Heben Rodan op.cit. c. 147r; Albubater, Liber genethliacus c. 12; Abenragel cc. 32r; 33r. Pertanto l'essere nella luce del Sole è condizione malvagia: prôtotypôs gar kakon esti to einai ton astera hypaugon, è la forma prima ed originaria dell'afflizione di un astro (Doroteo CCAG 5/3 p. 123,3) e come tale è recensita dagli astrologi: Retorio CCAG 8/4 p. 171,6; Doroteo CCAG 8/1 p. 198,10; Zahel CCAG 5/3 pp. 110,7; 113,1; Albumasar, Introd. 7, 6; rev. nat. 2, 3 (p. 37,4 Pingree); Abenragel c. 36r; Bonatti 3, 2, 19. 20; 6, 2, 5, 1; 6, 2, 6, 1. [35] Heph. III, 38; I, p. 297,3. [36] De astrologica veritate 7, 5; cfr. “Aristoteles”, Liber novem iudicum c. 21v: adustio magis erit timenda quam retrogradatio; Alkindus ibid. c. 24r, soprattutto nelle figure di decubito, ibid. cc. 24r-v; 28r. [37] Albumasar, Introd. 7, 4; John of Eshenden, Summa... 1, 10, 5. Cfr. CCAG 11/1, Ex Libro Mysteriorum Apomasaris cap. 176 (peri kakôseôn asterôn): «Sappi che in molti modi gli astri sono mal disposti. La prima malvagia disposizione è quando sono combusti (hypaugoi), quindi quando sono nella loro caduta, poi quando retrogradano, poi quando si uniscono ad un malefico e si trovano nella sua luce, poi quando sono cadenti, poi quando sono in esilio, poi quando si trovano nella zona combusta, la quale principia dall'inizio della Bilancia sino al termine dello Scorpione. Sappi che il Sole danneggia soprattutto Venere e la Luna, le quali sono umide entrambe e il temperamento del Sole dissente dal loro, essendo secco e caldo. Quanto a Saturno, pur se dissente dal Sole riguardo al freddo, concorda riguardo al secco. Giove invece concorda col Sole riguardo al calore, ma ne dissente in quanto umido. Sappi inoltre che il Sole ha maggior forza quando si trova in Ariete, che lì ha la sua esaltazione, ed è simile a un re amante della giustizia e temibile; ma quando è in Bilancia, sua depressione, è simile a un re disprezzato dai suoi sudditi. Ed il Sole è mal disposto dalla Bilancia fino al Sagittario: questi segni son detti depressione delle depressioni, giacché in essi il Sole discende e si avvicina alla terra. E quando un astro è quivi afflitto dal Sole, non è afflizione integra, giacché in questo luogo il Sole non ha grande forza. Al contrario, se un astro è afflitto dal Sole stante in Ariete, tale afflizione è assoluta». [38] op. cit. c. 4r; cfr. Dorotheus, Liber novem iudicum c. 94r: «Venus et Luna imbribus amicantur»; cfr. Epistola Mashallah in pluviis et ventis CCAG 12 215,9: «Hodie quod Venus sub radiis, est sicut mulier cum viro, facit descendere aquas». Si consideri: Venere mattutina orientale, l'uomo comanda sulla donna; Venere sotto i raggi, è comandato; il contrario nelle geniture femminili (V.Val. p. 118,26 Kroll). Venere vespertina favorisce gli amori tra uomo e donna, ove sia concorde la Luna, ma conviene più alla donna che agli uomini, giacché in tale condizione incita verso i fanciulli ed è empoiousa erôtas, immittit hominibus amorem, è suscitatrice del desiderio (Palchos CCAG 9/1 p. 182,9; scelgo le lezioni dell'Oxoniensis e del Neapolitanus). Al Bîrûnî riporta i giudizi di al Kindî riguardo ai pianeti orientali ed occidentali (nella seconda accezione, cfr. p. 411) e “il filosofo degli Arabi” osserva che gli effetti di Venere orientale sono meno completi di Venere occidentale (Tafhîm 302,487). [39] Sarap. Al. op. cit. p. 227,11; cfr. Zahel op.cit. c. 126r c.38. [40] loc. cit. [41] Bonatti 6, 2, 5, 5. [42] Liber Messahallah in revolutionibus annorum mundi, ap. Haly Heben Rodan, op.cit. c. 149v. [43] Bonatti 8, 1, 115: perdet eum et finiet. [44] astêr exaugos genomenos. [45] CCAG 11/1 p. 177,18. [46] La teoria degli epicicli costituisce il fondamento del capitolo I, 8 del quadr., ove Tolemeo espone quali virtù abbiano le figure dei pianeti rispetto al Sole. Qui appare in modo esplicito che la virtus degli astri erranti non è effettiva, poiêtikê, se non a far tempo dalla loro emersione dai raggi solari (apo tês anatolês) fino alla loro occultazione (mechri krypseôs, mechri dyseôs). [47] op. cit. 225,10. [48] Zahel op. cit. c. 141v. [49] Giuliano di Laodicea, CCAG 5/1, p. 123,25. [50] Cfr. Mâshâ’âllah, Liber de 14 proprietatibus stellarum... cit., fo. 91v: «Absconditarum revelationem incipit predicare». [51] Le fondazioni dei templi, che avvengono nelle anatolai degli astri, sono durevoli quando i pianeti che testimoniano sono in segni solidi, di lunga ascensione e a più astri si unisce la Luna (Giuliano di Laodicea CCAG 8/4 p. 253,2). Gli astri sono forti nei loro decreti soprattutto nella seconda stazione Heph. I, p. 67,26. [52] Gli astri acronici sono potenti di notte, essendo sopra l'orizzonte (Sarap. Al. CCAG 8/4, p. 230,22), ma Giove, acronico nel giorno e nell'ottavo luogo dalla sorte lunare, non ha avuto forza nel soccorrere (V.Val. p. 129,12); ma Giove acronico nella notte e configurato alla Luna e a Venere, nell'undicesimo luogo, diede al nativo sostegni ed amicizie e comandi nei suoi tempi, tuttavia non stabili per l'essere Giove retrogrado (dia to aphairetikon heuresthai ton Dia) e nella sua caduta, Capricorno (V.Val. p. 168,13). [53] Al-Bîrûnî, Tafhîm 298,486. [54] Aphor. astron. II, 89. [55] Cfr. Albenait, Liber novem iudicum c. 13r; Dorotheus ibid. c. 13v. |
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