Jean Stade
In quale modo dalle stelle fisse si traggono pronostici universali traduzione di Giuseppe Bezza (cap. 7, pagg. 200-208) |
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Jean Stade (1527-1579) insegnò matematica a Lovanio, quindi a Parigi. Quantunque il Tomasini, nel suo Elogia illustrium virorum, dica che lo Stadius abbia dato molti responsi sulle natività di principi e di nobili alla corte di Francia, il De fixis stellis commentarius * è il suo unico scritto astrologico a noi noto. |
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* Tabulæ Bergenses æquabilis et adparentis motus orbium cœlestium. - Ad Illustrissimum Reverendissimumque Principem D. Robertum De Bergis, Leodii Episcopum, Bullionii Ducem, Comitem Leossensem, etc. - Per Ioannem Stadium, Regium et Ducis Sabaudiæ Mathematicum. - Quæ decem canonibus ad omnium sæculorum memoriam Planetarum et siderum vera loca, ante Christum et retro, cum observationum historijs congruentia suppeditant. - Item de fixis stellis Commentarius, quo perpetua loca illarum demonstrantur, et ortus et occasus earundem quodlibet clima, tum ex eisdem calamitatis, sterilitatis, valetudinis anniversariæ, et geniturarum prænotiones minime aberrantes, edocentur. - Opus Astronomis, Astrologis, Medicis, Politicis, Œconomicis, Poëtis, Theologis, Historiographis, Grammaticis necessarium. - Coloniæ Agrippinæ, apud hæredes Arnoldi Birckmanni, Anno a virgineo partu 1560. |
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Sappiamo essere nel cielo una duplice offesa: l’una chiamiamo tempesta e quando infuria e il cielo è intorbidito e di fragori pieno, all’emergere di stelle nocive, quali sono Arturo, Orione, i Capretti, le Iadi, si riversano grandini, burrasche, tuoni, lampi e simili accidenti, che sono causa di calamità. L’altra suole, al contrario, prodursi quando il cielo è tranquillo e sereno, sotto forma di carbonchio, golpe, ruggine, brina, le quali cose minacciano, dal loro primo apparire, sterilità ai campi.[1] Quanto al primo genere di presagi, che si trae da indizi manifesti che appaiono attorno alla Luna e al Sole o dalle apparenze che si concretizzano attorno alle stelle, noi lo tralasciamo; sono infatti segni transitori e sussistono per il breve tempo che l’occhio li coglie; se d’altronde qualcuno volesse conoscere i modi in cui da questi indizi si danno predizioni, cerchi in Varrone, Virgilio, Plinio, Arato e Tolemeo. Noi qui vogliamo esporre la previsione del tempo futuro che attiene al sorgere e al tramontare delle stelle fisse. Plinio, e con lui Columella, testimoniano che la costellazione di Arturo non sorge senza tempesta di grandine. E se è sostenuto dai raggi della Luna o di Marte è significato certissimo, confortato dalla nostra personale esperienza. Abbiamo inoltre osservato, se Saturno concorre, che segue per qualche giorno un tempo piovoso. Il tramonto delle porcelline o Iadi, narra ancora Plinio, porta tempo burrascoso per terra e per mare. Ai nostri tempi e al nostro orizzonte si coricano durante il crepuscolo mattutino tra il 10 e il 14 novembre. Ed io ritengo che da questo motivo siano nati i proverbi marinai che ammoniscono di condurre le navi al porto nel giorno dei santi Simeone e Giuda.[2] Potrai sperimentare ancor più certo il detto di Plinio se Marte eccitasse, per il suo concorso, queste stelle o se Mercurio per corpo o per raggio premesse Marte per quadratura od opposizione. Se il tramonto mattutino delle Pleiadi avviene con cielo nuvoloso annuncia un inverno piovoso, con cielo sereno, pungente e rigido. Abbiamo inoltre osservato che il transito di Venere o di Marte sulle Pleiadi suscita un tempo piovoso per alcuni giorni; questo si produce anche col solo transito di Marte. Tramanda Plinio di aver osservato che se piove al tramonto mattutino del Delfino, non pioverà al sorgere di Arturo.[3] Nel nostro secolo e al nostro orizzonte l’intervallo tra le due apparizioni è di trenta giorni: la prima occorre alle idi di agosto, la seconda a quelle di settembre, allorché vediamo le rondini allontanarsi a stormi, mentre al sorgere vespertino di Arturo accorrono velocemente. Il sorgere dei Capretti preannunziava all’Italia tempo piovoso, ma non a noi, poiché mai si abbassano sotto l’orizzonte. Al sorgere mattutino di Sirio si agitano i mari, ribolle il vino nelle botti (che nel nostro paese avviene attorno al tramonto eliaco di Procione), si muovono le acque stagnanti, i cani sono colpiti dalla rabbia e alcuni pesci sono presi da assideramento. E se Marte o Giove concorrono nei segni di fuoco ogni cosa è distrutta da un tempo ardente. Ippocrate, quasi dio dei medici, prescrive di considerare, per determinare la crisi delle malattie dallo stato dei tempi, il sorgere e il tramontare degli astri: del Cane, di Arturo e delle Pleiadi. Stima inoltre assai pericolosi entrambi i solstizi, segnatamente l’estivo (senza alcun dubbio per il sorgere di Sirio), il cui ardore svigorisce i corpi, ed entrambi gli equinozi, soprattutto l’autunnale, a causa del mutamento dello stato dell’aria. In effetti, al sopraggiungere della primavera il freddo acquista calore e gli umori si chiarificano, mentre al principio dell’autunno il calore si raffredda e gli umori che già si erano dissipati si sospingono verso le parti interne per l’affluire del freddo. D’altro canto, ci ammaliamo piuttosto quando il corpo caldo si raffredda, che non quando, essendo freddo, si riscalda; per questo Ippocrate pose l’equinozio autunnale più pericoloso del vernale. Questa distinzione accolta, veniamo ora in aiuto dell’arte medica. Ippocrate assume l’inizio dell’inverno dal tramonto mattutino delle Pleiadi, che può essere facilmente determinato da quanto esposto nei capitoli precedenti. Si presenteranno pertanto i segni che mostreranno se l’inverno futuro sarà piovoso o secco, tepido o rigido, ventoso, oppresso da tempeste o tranquillo e piuttosto sereno. Tutte queste cose considerate, Ippocrate insegna quindi come profetare della salubrità o insalubrità di codesta parte dell’anno. La primavera è compresa tra l’equinozio e il sorgere mattutino delle Pleiadi e questo intervallo di tempo può essere determinato dalle effemeridi e dalla tavola del sorgere delle stelle in ogni regione. Ora, se la primavera futura sarà temperata o eccessiva, risulterà dal metodo precedente (bada tuttavia di prendere qui in considerazione anche il transito di Saturno e di Giove, come pure del violento Marte). Ippocrate, in seguito, stimerà le malattie di codesta parte dell’anno ed in quale sesso ed età infieriranno, dalla qualità di questa stagione medesima e dell’inverno precedente. Determina quindi Ippocrate l’estate dal sorgere delle Pleiadi all’apparizione di Arturo (e da quanto abbiamo prima detto, è manifesto che si deve qui intendere il sorgere mattutino delle Pleiadi, il cui tempo è facilmente desumibile dalla tabella). Ma per quanto attiene all’apparizione di Arturo, si potrebbe dubitare se Ippocrate parla qui della sua emersione od occultazione, se non avesse posto nelle Epidemie la fine dell’estate e il principio dell’autunno al 28 di agosto. Da questo passo è infatti chiaro che egli intende l’emersione.[4] E questa interpretazione è d’altro canto resa più certa dall’autorità di Galeno, quando scrive che la stella di Arturo sorge dodici giorni prima dell’equinozio autunnale. Consideriamo ora che in questo intervallo di tempo le Iadi, Procione, Aldebaran, Orione, Sirio si occultano, si coricano, si levano, emergono: come non comprendere quale singolare cura è necessaria in questo negozio? Si deve infatti avere perfetta cognizione di quali stelle si coricano, di quali con la Luna e con i pianeti si mescolano, quali si levano o si occultano od emergono al contempo, quale, infine, è la costituzione propria di quella regione della terra. Ora, in una così gran messe di condizioni, affinché chi deve trarre i presagi possa secernere e determinare qualcosa di certo, molto gli gioverà il possedere una conoscenza certa della natura delle stelle fisse e l’esaminare con cura i momenti dei noviluni e dei pleniluni e gli effetti delle eclissi che eventualmente occorrono in quell’arco di tempo. E poiché tutte queste cose sono connesse all’astrologia, come non riconoscere, secondo quanto dice Ippocrate, che l’arte astronomica è di non poca utilità a quella medica? Invero, la commistione di Marte esaspera l’ardente Sirio, quella di Giove lo mitiga, quella di Venere l’attenua. Questo avviene se i predetti pianeti a Sirio si commistionano singolarmente. Ma se tutti al contempo affluiscono, unendo i loro raggi, ne accrescono la veemenza. Se pertanto tu dicessi che pioverà, dovresti dire, con Aristotele, che pioverà fortuitamente.[5] Ma in quale modo sopraggiunge la pioggia e il tempo invernale? quali mai cose prometterebbero un autunno salubre, se codeste stagioni sono precedute da una costituzione secca dell’aria? Invero, se Giove si unisse in qualche modo al Sole o Marte a Giove nel tempo in cui Orione sorge, la veemenza propria di codesta costellazione porterà tempesta al sorgere di Sirio, il vento del nord dissiperà la corruzione dell’aria, i venti etesii soffieranno gelidi e secchi e l’autunno sarà salubre. La medesima cosa promette la commistione di Giove e di Mercurio. Segno non trascurabile di pioggia hanno gli Asini e la Greppia congiunta alla Luna o a Venere o ancora se Giove osserva questi pianeti con il diametro o la quadratura, stanti in segni umidi o tempestosi, segnatamente se la Luna, quale messaggera, defluisse da Mercurio verso Giove. Ancora deve essere considerato il sorgere del tempestoso asterismo dei Capretti fino alla latitudine di 48 gradi. A questo proposito, nulla di più conveniente del vaticinio di Diofane[6] sul segno che ospita la Luna al momento in cui Sirio sorge occultato dal Sole: se la Luna traversa l’Ariete, presagisce tempo piovoso, se passa per il Toro, un tempo burrascoso, se illumina il Cancro, un tempo secco, se i Gemelli, una pestilenza; se passa per il Leone, un ardore abbruciante, per la Vergine, piogge frequenti, per la Bilancia un tempo eccessivamente secco, per lo Scorpione, una pestilenza, per il Sagittario o per il Capricorno. Ci offre un esempio l’anno 1555, ove occorse una singolare e memorabile intemperie di venti e piogge intorno al sorgere del Cane. Vi concorsero, è vero, altre cause, quale una totale eclissi di Luna ed altre ancora di cui già abbiamo detto e alle quali si deve dare maggior fiducia che alle congetture di Diofane. Se poi la Luna passa per l’Acquario presagisce un anno secco e morboso, per i Pesci abbondanti piogge. Se questi giudizi siano veri, non ho potuto verificare, mi sembra tuttavia più certo il pronostico costituito dalle diverse commistioni degli astri, come abbiamo esposto. Ippocrate definisce l’autunno dal sorgere di Arturo al sorgere vespertino delle Pleiadi. È questo un intervallo di tempo che comporta, alla nostra epoca e alle nostre latitudini, cinquanta giorni. Arturo sorge unitamente al Sole all’equinozio autunnale, mentre il nove di novembre le Pleiadi sorgono durante il crepuscolo vespertino. Un identico intervallo, dall’equinozio autunnale al sorgere delle Pleiadi considera Galeno. Chiunque può accomodare questo intervallo secondo il proprio orizzonte mediante la tabella del sorgere e tramonto delle stelle e presagire intorno al tempo dell’autunno secondo la dottrina esposta. Se poi l’autunno futuro è morboso o salubre e quale sesso ed età concerne, si dovrà pronosticare secondo i detti di Ippocrate. Coopereranno alla congettura il sorgere della Lira, del cuore dello Scorpione, l’emersione di Arturo e di Spica, queste essendo le stelle che sorgono, tramontano od emergono in questo arco di tempo. Inoltre, non è di poca importanza se tu avessi piena cognizione dei venti che soffiano nel corso dell’anno o delle stelle che non appaiono (ed anche questo deve essere appreso dall’osservazione) e devi sapere se i venti sono tempestosi o umidi, se portano il sereno, se sono gelidi e da quale parte spirano. Quanto a noi, presentiamo qui quanto abbiamo appreso dall’esperienza. Nelle nostre regioni, il corus infuria soffiando dal punto in cui il Sole si corica al solstizio estivo, segnatamente verso la fine di agosto, ed è tempestoso, turbolento, grandinoso, impetuoso, violento, abbatte le case, sradica gli alberi, rovescia i carri a pieno carico, ed è il vento che Catone, con il nome di cercius, descrive come particolare della Gallia narbonense.[7] È a questo vento che si deve la sciagura straordinaria che accadde al pretore di Anversa il 19 agosto del 1554. Salito verso sera su una carrozza, con la moglie, la figlia, una serva e un bellimbusto che era suo compagno di gozzoviglie, giunse alla porta di Kroneburg. E mentre il carro stava attraversando il ponte - incredibile a dirsi, eppur vera testimonianza della violenza del corus - si ruppe il giogo dei cavalli, si strapparono le corregge e, sollevato di peso, il carro precipitò arrovesciato nella fossa. Il padre e la madre soffocarono, le altre donne furono gravemente colpite e solo il bellimbusto rimase incolume. Ricorderò sempre un’avventura che mi accadde in quello stesso giorno e che mi accomuna al poeta Orazio: stavo tornando ad Anversa da Torino, quando un pioppo bianco, contorto dalla forza del vento e spaccato al primo assalto, poco mancò che si abbattesse su di me e fu per caso che scampai al pericolo. Queste divagazioni ti possano apprendere la furia tempestosa del violento caurus, se da Giove e da Mercurio, unitamente ad Arturo, viene eccitato, come era quel giorno, così come appare dalle effemeridi. Desideri altri esempi di simili furie? Era l’anno 1552, il 13 gennaio, quando tante case furono abbattute, un numero incalcolabile di alberi sradicati e lampi e tuoni incutevano a tutti il terrore. La tempesta infuriava e saliva ed ebbe il suo culmine verso le 18: la Schelda tanto s’ingrossò che ruppe gli argini ed arrecò danni inestimabili: le navi che non furono direttamente distrutte dai marosi si fracassarono le une sulle altre. Vediamo che il Sole si coricava con Mercurio e con Marte e l’Aquila si occultava, mentre dalla parte opposta dell’orizzonte sorgeva Giove con Sirio e con Procione, mentre la Luna era opposta a Saturno.[8] Vedi come in entrambi <gli angoli dell’orizzonte> vi siano stelle commiste a pianeti tempestosi? Invero, nulla è più violento del caurus, se inizia a soffiare quando Giove e Mercurio si uniscono o si accoppiano. Nel mese di marzo tuttavia porta la grandine, mentre in maggio è la causa principale di calamità. I venti detti degli uccelli o chelidonii sono così chiamati per l’avvento delle rondini [chelidônes] e nelle nostre regioni abbiamo osservato che soffiano all’incirca con l’Africo intorno al sorgere vespertino di Arturo, circa il 7 di marzo: sono venti freddi e turbolenti, quantunque assai più miti del corus, e portano grandine, neve e a quanto ci risulta soffiano per dodici giorni e si tramutano, con grandi piogge e tempeste di grandine, in Favonio. Non hanno alcun posto preciso nelle nostre regioni i venti etesii, ma abbiamo osservato che soffiano soprattutto dai luoghi medesimi dell’Euro, dell’Aquilone e del Borea e nel corso di questo anno 1559 spirarono impetuosi ma sereni da sud-ovest ovvero laddove il Sole si corica al solstizio invernale. E al fine di mitigare il duplice ardore del Sole e di Sirio commisti, seguono il Sole per un intervallo di circa cinquanta tempi equatoriali e quando il Sole scende al tramonto per la rapida rivoluzione del cielo, quasi imitandone perfettamente la funzione, cessano di spirare.[9] In seguito, per quanto attiene ai segni dello zodiaco al fine di preconoscere la varietà degli anni, dobbiamo rivolgerci a Tolemeo. Poiché, tuttavia, tutte le stelle, delle quali gli asterismi e i segni si compongono, sono avanzate seguendo la sequenza dei segni, il criterio certo non può essere il medesimo che ai tempi di Tolemeo.[10] Egli infatti stabilì che l’Ariete è gravido di tuoni e di grandine; forse che nel mese di marzo, sotto il nostro presente aspetto del cielo, il cattivo tempo è più vigoroso? Se tuona, stimiamo essere cosa inaudita ed ominosa, mentre non giudichiamo inopportuna la neve, il freddo, la brina, la grandine. Qual è mai la causa di così diversi effetti? Perché il Sole, secondo la testimonianza di Tolemeo e il conforto dell’esperienza, nel suscitare i diversi stati del tempo, riproduce la natura del luogo che attraversa? Di certo non vi è altra causa se non questa: le stelle della Balena, che hanno natura saturnia, gelida, glaciale e nevosa, sono al nostro tempo confuse tra i Pesci e l’Ariete e attorniano e legano da ogni parte il Sole al suo sorgere. Ora, affinché tu possa riportare questo criterio tolemaico al secolo presente, procederai seguendo il catalogo delle stelle fisse che è nel settimo libro dell’almagesto o l’elenco delle virtù (riferite alla natura dei pianeti) delle stelle che giacciono nel circolo dei segni, qual è nel primo libro del quadripartito. Quindi, secondo quanto esposto più sopra, nel secondo capitolo,[11] determina i luoghi delle singole stelle, lasciando nondimeno invariati i segni o dodecatemori, e nota la natura delle stelle. Avrai in questo modo il significato dei segni rispondente alla nostra epoca.[12] Ora, le stelle saturnie sono fredde, gelide, grandinose, le gioviali ventose e salubri, le marziali recano tuoni, come quelle di Giove, ma sono impetuose, repenti, ignite, procellose; e se sono commiste a Saturno sono pestilenziali e soffocanti, commiste al Sole sono ardenti e infuocate. Le Veneree sono umide e fredde. Le mercuriali sono indifferenti, ma commiste alle veneree sono venimose e pestilenziali, alle gioviali tempestose, alle marziali impetuose, alle saturnie gelide. Le lunari, infine, sono torbide, caliginose, tenebrose. Grazie a codesto criterio delle commistioni l’abile e solerte studioso della natura discerne accortamente quale sia la natura dei segni nei diversi stati del tempo. Non è necessario di proseguire oltre in questa esposizione, ma diamo più oltre, alla fine del trattato, un catalogo ove le singole stelle sono ordinate secondo le loro immagini e la loro natura. Ora, io sono convinto che chiunque, avendo preso ad esempio il calendario delle stelle di Tolemeo,[13] lo accomoda al proprio orizzonte e stabilisce osservazioni ordinate per un arco di quattro anni, potrà più sicuramente formulare predizioni sullo stato del cielo, sui danni e i benefici che ne conseguono. Avremmo a questo punto aggiunto un commento al libro di Tolemeo sui significati delle stelle inerranti, ma ci siamo astenuti in quanto non abbiamo compiuto osservazioni per un quadriennio. In effetti, le varie condizioni climatiche ritornano ogni quattro anni nei tempi stabiliti, secondo quanto Plinio riferisce portando ad autorità Eudosso,[14] quantunque siano ora più forti, ora più deboli in forza della costituzione universale, ovvero per il transito dei pianeti, per le sizigie, per le eclissi dei luminari. Quanto al tempo cui si riferisce il noto aforisma: Sotto Sirio e Procione gravosi sono i medicamenti,[15] è manifesto da quanto abbiamo prima esposto. Abbiamo altresì potuto osservare i giorni alcioni, cheti e sereni, che occorrono attorno al solstizio invernale.[16] Allo stesso modo si può facilmente comprendere i simili detti che si leggono in Ippocrate e Galeno e credo che al medesimo genere appartenga ciò che dice Cicerone citando Eraclide Pontico sui pronostici che si traggono dal sorgere eliaco di Sirio: se la stella sorge alquanto oscura e fosca, significa un aere spesso e denso, che porterà esalazioni grevi e pestilenziali; ma se appare chiara e brillante, è segno che l’aere è limpido e puro e pertanto salubre.[17] Queste predizioni sono necessarie ai medici, secondo quanto insegna Ippocrate e conferma Galeno. Queste cose abbiamo noi esposto di buon grado per compiacere a Gilbert de Lemberge, medico tanto dotto quanto modesto, che si prende a cura la salute del reverendissimo vescovo di Liegi (e al quale siamo debitori del ristabilimento delle nostre forze). Una sola cosa bisogna ancora aggiungere: nelle eclissi dei luminari che occorrono nell’arco dell’anno, devono essere prese in considerazione anche le stelle fisse che occupano il cardine seguente (il quale non può essere se non l’oroscopo o la decima casa) al fine di giudicare se l’evento significato dall’eclisse è suscettibile di un qualche incremento nel suscitare gli stati del tempo, vuoi perché le stelle sono verticali, vuoi perché hanno familiarità o si uniscono con il <pianeta> governatore. Questo basti riguardo al primo genere, che abbiamo chiamato cattivo tempo. Trattiamo ora delle cause dell’altro danno dei cieli, intendo la sterilità o l’alto prezzo delle derrate. Questa congettura si trae segnatamente da quelle costituzioni del cielo che vigono quando i frutti appaiono per la prima volta o sono sul punto di maturare. L’apparizione mattutina della <brillante dell’> Aquila, che avviene al nostro orizzonte il 17 dicembre, a quello dell’Italia il 21, minaccia a tutti i fiori invernali e ai frutti prematuri danno a causa della brina, se avviene in occasione del novilunio. L’occultazione e l’emersione di asterismi tempestosi, quali le Pleiadi e le Iadi, se suscitano tempeste di pioggia, soffocano la germinazione della vite e dell’ulivo. In virtù di questo fondamento, Democrito, avendo previsto l’aumento del prezzo dell’olio, comperò a buon mercato, giacché ci si attendeva una gran raccolta di olive, l’olio di tutto il paese, a gran sorpresa di coloro che ben sapevano che nulla gli era più caro della povertà e della quiete dello studio. Quando poi fu manifesto il suo motivo e già gli affluivano ingenti ricchezze, restituì il denaro guadagnato, contentandosi di aver così dimostrato che gli sarebbe facile arricchirsi, se lo volesse. Le stesse cose racconta Plinio di un tale Sesto, filosofo romano ed Aristotele e Cicerone di Talete.[18] D’altro canto, ai nostri tempi i contadini biasimano l’umido tempo che occorre nei giorni delle Rogazioni, che si celebrano all’incirca in quel momento dell’anno in cui le Pleiadi si occultano.[19] E pur non conoscendo le cause, si rifanno ad un’osservazione assai antica e ad eventi certi e pronosticano che in tale condizione, non vi sarà in quell’anno una ricca vendemmia. Se il tramonto vespertino di Sirio precede o segue di due giorni il plenilunio preannunziava ruggine al frumento e la bruciatura dei germogli. Pertanto i Romani, allo scopo di lenire l’offesa del cielo, celebravano, in due giorni distinti, i Robigalia e i Floralia; i primi per decreto di Numa, i secondi per l’oracolo della Sibilla. Ed è presumibile che la purificazione che si fa ai giorni nostri dei campi e degli orti nei giorni delle Rogazione e di san Marco, avvenga in certo modo ad imitazione di quelle feste.[20] Se il tramonto vespertino di Procione avviene nel giorno del novilunio porta offesa, a causa di bruciatura, alla vite in fiore e all’ulivo che germina. Duplice è pertanto il danno da Sirio e da Procione, poiché le messi sono guastate dalla ruggine o bruciate dalla brina. Ci offre un esempio l’anno 1555, quando, intorno al giorno di s. Urbano,[21] i fiori e i germi della vite furono guastati per abbruciatura e le spighe del grano furono soffocate in tutto il territorio del Brabante che si estende verso il settentrione e il sorgere estivo del Sole. E dal giorno di s. Urbano i contadini traggono auspici per la vendemmia. Se il sorgere vespertino dell’Aquila e il tramonto di Arturo, che al nostro orizzonte occorrono il 2 giugno, se coincidono con il giorno del plenilunio, presagiscono l’improduttività dell’ulivo e della vite che allora sono in fiore; e i nostri contadini fanno vaticini sui raccolti a seconda che il giorno di san Medardo, che cade l’otto di giugno, sia sereno o piovoso. Ed anche questa predizione credo che debba essere riferita al sorgere di Sirio che soleva affliggere la vite di una grave malattia, il carbone, portando a precoce maturazione gli acini e quindi all’indurimento.[22] Anche le meteore, segnatamente le comete, che appaiono durante la primavera, arrecano penuria e aumento del prezzo delle derrate, abbruciando con la molestia delle loro esalazioni, ogni frutto e il succo dei germogli. E per certo la cometa che apparve nel 1557 suscitò una grave carestia e quindi una violenta sedizione in quasi tutto il nostro mondo abitato. Se alla prima emissione dei germogli o all’apertura dei semi o dei fiori, occorrono in estate pleniluni, d’inverno noviluni unitamente al sorgere o al tramontare di stelle violente, ci si deve attendere un danno nei raccolti. E per non tralasciare nulla in questa esposizione, diciamo ancora che se avviene un’eclisse di Sole al momento in cui un albero o un qualunque vegetale è in fiore, subito sfiorisce, si ammala e disattende la promessa dei frutti. Queste sono le annotazioni sulla sterilità e i danni del cielo connessi al sorgere e al tramontare delle stelle fisse, che abbiamo raccolto e ordinato dagli autori più sperimentati. Tu ora considera, sulla scorta degli scrittori di agricoltura, i tempi della fioritura di ciascuna pianta e confrontali con i tempi del sorgere e del tramontare delle stelle. Potrai così pronosticare in modo più sicuro e certo dei prezzi del mercato, della penuria e dell’abbondanza, se a questi paragonerai i transiti dei pianeti in quei medesimi tempi e gli altri presagi dei segni del cielo: la prognosi del danno si accrescerà in virtù del golpe e del gelo di Saturno o dell’aridità e violenza infuocata di Marte, mentre Giove e Venere indicano generosità del suolo. Ma se tu intraprendi quella divinazione superstiziosa e finta che si fonda sulle risibili sorti del frumento, dell’olio, del formaggio, del burro, delle fave, non sei forse tu divenuto pazzo da queste stoltezze, se credi per davvero di poter incidere nel cielo, a tuo arbitrio, i segni e i presagi degli eventi futuri? Quale incredibile follia, quale sciocca arroganza! E se tu ribattessi, presentando il consenso della predizione con gli effetti, nulla proveresti: il koskinomante, il piromante, il prestidigitatore non raggiunge mai il suo scopo e per puro caso il cieco cavò gli occhi alle cornacchie.[23] Potrei nondimeno concordare con te ed apprezzare queste risibili sorti, solo se tu potessi fissare nella volta del cielo una qualche luce che dimostrasse la sua forza in questa materia inferiore. Ma se ciò fosse impossibile, in quale modo queste cose che son prive di una causa razionale potranno svolgere ed esprimere le congetture? Ricordo come io stesso, anni or sono, quando divoravo avidamente i manuali di astrologia, restassi sovente deluso da questa tradizione delle parti o sorti arabe. Mio padre, Pietro Stadio di Oeckel, uomo semplice ma onesto e che occupava una posizione onorata fra i suoi pari, era esercitatissimo in quel modo contadino del pronosticare di cui abbiamo detto e disputava con me sull’abbondanza e la penuria. Da parte mia, stabilite accuratamente tutte le sorti, dell’orzo, del grano e simili, con grande applicazione e vano sforzo cercavo di superare le predizioni di mio padre. Ma invano: accolto più e più volte dalle grandi risate di mio padre, presi con maggior successo a indagare quale causa può essere assegnata secondo l’astrologia e perché l’antichità sagace abbia intrapreso a divinare sulle produzioni dell’annata, abbondanti o scarse, in giorni determinati e solenni. Dopo aver seguito e compreso questa dottrina, che ora abbiamo esposto, e dopo aver esaminato con attenzione le memorie degli antichi sul sorgere e tramontare delle stelle, inerenti a questa dottrina medesima, iniziai a valutare le sizigie dei luminari e i transiti e le configurazioni dei pianeti che si producevano in quei momenti medesimi e presi ad avere il sopravvento sul mio ottimo padre nelle predizioni che facevamo tra noi a gara. Potremmo, adducendo molti fatti dell’esperienza, distruggere i criteri privi di ragione di queste sorti, ma attendiamo a tal uopo i commenti astrologici di Valentino Nabod (la cui edizione è imminente), che per l’appunto le confutano. E i pronostici dei contadini si prendono gioco, a ragione, di siffatti pronostici che vengono sfornati ogni anno, poiché è un genere di divinazione più certo rispetto ad un pronostico scritto con gravità e nondimeno ridicolo. D’altro canto, se valutiamo razionalmente i fatti, i primi giungono a dimostrare con venti più certi, onde è davvero incredibile che vi sia ancora qualcuno che abbia fiducia nei secondi, i cui pronostici sono quotidianamente contraddetti dai fatti. Abbiamo fin qui detto quanto riteniamo necessario riguardo alla previsione universale che si fonda sul sorgere e tramontare delle stelle. Passiamo ora a quella particolare, fondandoci sulla tradizione e sugli esempi di cui disponiamo. La divideremo in tre generi distinti, riguardo agli esiti: il felice, l’infelice, il calamitoso. I primi due generi concernono l’animo, ovvero l’ingegno, la stima, gli onori e la dignità ovvero il corpo, segnatamente gli averi e la sanità. Quanto al terzo genere, il calamitoso, minaccia la cecità o un qualsiasi esito infelice. Seguiremo pertanto questa distribuzione, dopo aver premesso una considerazione generale e necessaria.
[1] Questo passo parafrasa Plinio (nat.hist. XVIII, 278): «Dobbiamo anzitutto ricordarci che vi sono due sorte di offese che provengono dal cielo. Le prime chiamiamo tempeste e in esse son compresi le grandini, gli uragani e altri simili fenomeni, i quali, quando sopraggiungono, prendono il nome di forza maggiore; questi provengono, come sovente abbiamo detto, da asterismi nocivi (ab horridis sideribus exeunt) quali sono Arturo, Orione, i Capretti. Le altre son quelle che si producono per cielo tranquillo e notti serene e nessuno ne ha conoscenza se non quando già sono apparse. Questi danni sono manifesti e molto sono diversi dai primi: ora hanno nome di ruggine, ora di golpe, ora di carbone, sempre comunque di sterilità». carbone (carbunculus) è malattia delle piante dovuta a un fungo; golpe (uredo) è propriamente fungo parassita dei cereali. [2] Il giorno di Simeone e Giuda Taddeo, apostoli, cade il 28 ottobre. [3] nat.hist. XVIII, 311: «Si Delphino occidente imbres fuerint, non futuros per Arcturum». Si intende qui il sorgere mattutino di Arturo. [4] Il testo reca, erroneamente: «Ex quo loco manifestum est, eundem de occultatione loqui». [5] Arist. phys. II 198b36: «Pare invero che non fortuitamente né a caso piova spesso durante l’inverno, ma sotto la canicola sì». [6] Il riferimento è alla Geoponica di Cassiano Basso (I, 8), la cui editio princeps è del 1539 (Basilea). Ma il nome di Dofane appare come autore del cap. 6, che tratta di quando piantare gli alberi secondo la Luna, mentre i due capitoli seguenti sono ascritti a Zoroastro, cfr. Geoponica sive Cassiani Bassi scholastici De Re Rustica Eclogae, rec. H. Beckh, Lipsiæ 1895, pp. 15-17. Nel Neapolitanus gr. II, C 33 (già 34) questi pronostici sono riportati sotto il nome di Antioco, cfr. CCAG IV, pp. 134-135. [7] Caurus o corus e cercius o circius sono venti del nord-nord-ovest. Il caurus è riconosciuto da Plinio nel greco argestes e dice che «è tra i più freddi, come tutti i venti che soffiano da settentrione, porta la grandine» (nat.hist. XVIII, 338). La testimonianza di Catone è riportata da Aulo Gellio (II, 22, 28-29): «Quanto al fatto che disse chiamarsi circius il vento spirante dalla terra gallica, Marco Catone nei libri delle Origini chiama quel vento cercius, non circius. Infatti, scrivendo sugli Ispani, che abitano al di qua dell’Ebro, pose queste parole: “Ma in queste regioni vi sono delle bellissime miniere di ferro e di argento, un gran monte di sale puro; quanto ne togli, di altrettanto si accresce. Il vento cercius, quando parli, ti riempe la bocca; rovescia un uomo armato, un carro a pieno carico”» (trad. di F. Cavazza). [8] Procione sorgeva alle 16 e 30, Sirio circa un’ora più tardi, mentre alle 18 tramontava la brillante dell’Aquila, il Sole essendo sotto l’orizzonte di circa 14 gradi. Si tratta quindi di un tramonto eliaco vespertino, simultaneo al tramonto di Saturno. [9] Sono detti etesii i venti anniversari, che ricorrono ogni anno a tempi determinati, cfr. Arist. meteor. II,5 361b36: «I venti etesii soffiano dopo il solstizio e il levarsi del Cane e non quando il Sole è massimamente vicino o lontano, soffiano di giorno, cessano di notte. La causa è che quando il Sole è vicino, disseccando la terra, previene la formazione dell’esalazione; quando si allontana un poco si stabilisce una giusta proporzione tra l’esalazione e il calore, sì che le acque gelate si liquefanno e la terra, disseccandosi ad opera del calore proprio e di quello del Sole, emette vapori ed esalazioni. Di notte poi i venti cessano, perché le acque gelate smettono di fondere per la freddezza notturna». [10] Il riferimento è a quadr. II, 11: “Della natura delle parti dei segni rispetto alla costituzione del tempo”, ove vengono definite le nature dei segni immateriali in funzione delle stelle presenti in essi: «E' necessario esporre le proprietà naturali delle varie parti dei segni e delle singole stelle per quanto attiene alla costituzione del tempo nell'anno. Abbiamo precedentemente dichiarato le familiarità degli astri erranti, come pure di quelli inerranti che hanno simile temperameno, riguardo allo stato dell'aria e ai venti, come pure le familiarità di ogni dodecatemorio, nella sua intierezza, rispetto ai venti e alle stagioni. Ci rimane ora da esporre la natura delle parti dei segni. Il dodecatemorio dell'Ariete, nella sua intierezza, è gravido di tuoni e di grandine, giacché contrassegna l'equinozio; ma nelle sue diverse parti la sua natura ora è più intensa, ora minore in forza dlla proprietà delle stelle inerranti. Invero le sue parti anteriori sono piovose e ventose, quelle mediane temperate, le estreme sono ardenti e pestilenziali; quelle settentrionali ardenti e distruttive, quelle meridionali gelide e fredde». [11] “Quomodo ad omnium retro seculorum observationes, fixarum longitudines congruant et supputentur”. [12] L’autore pone, alla fine del trattato questa tabella con il titolo: Catalogus generalium et particularium qualitatum tw`n ajsterivsmwn et dodecatemoriw`n cælestium ad annum 1560 accommodatus. [13] Cl. Ptolemæus, inerrantium stellarum apparitiones et significationum collectio, in: Opera astronomica minora ed. J.L. Heiberg, Lipsiæ 1907, pp. 1-67. Una traduzione commentata del trattato, a cura di S. De Meis e dello scrivente, è di prossima pubblicazione. [14] Plinio, nat.hist. II,130: «Secondo Eudosso tutti i venti, se si vuole osservare le più picole rivoluzioni, ritornano al medesimo ordine a capo di quattro anni e non solo i venti, ma anche una gran parte delle altre perurbazioni atmosferiche. E l’inizio del suo lustro inizia sempre in un anno bisestile al sorgere della Canicola»; cfr. nat.hist. XVIII, 217, Columella VI, 3, 4: «L’esame <della pianta> non si protrae al di là di un quadriennio. Per riconoscere con esattezza la generosità delle piante, infatti, è necessario lo stesso tempo che il sole impiega a tornare, passando per gli stessi segni, nel punto preciso dello zodiaco da cui aveva iniziato il suo corso. A questo viaggio circolare, che dura 1461 giorni interi (365,25 x 4), gli studiosi di astronomia danno il nome greco di apocatastasis». [15] Hipp. apho. IV, 5. [16] Cfr. Plinio, nat.hist. XVIII, 231: «Verso il solstizio d’inverno, secondo la maggior parte degli autori, i quattordici giorni della cova degli alcioni calmano i venti e addolciscono la temperatura»; cfr. Arist. hist.an. V, 8 542b2: «Il genere degli uccelli, come s’è detto, effettua di solito l’accoppiamento e la posa delle uova durante la primavera e l’inizio dell’estate. Fanno però eccezione gli alcioni (il martin pescatore o, secondo altri, la rondine di mare), che le depongono verso il solstizio d’inverno. Questo spiega perché, quando il tempo è sereno all’epoca del solstizio, si chiamano “giorni dell’alcione” i sette precedenti e i sette seguenti il solstizio, come dice anche Simonide nei versi “Quando in un mese invernale Zeus fa quattordici giorni sereni, questa stagione in cui i venti si nascondono, i terreni la chiamano sacra nutrice del variopinto alcione“». [17] Qui Jean Stade cita quasi alla lettera Cicerone, de divinatione I, 57. Con queste medesime osservazioni inizia il capitolo di Efestione di Tebe Sui significati della levata <eliaca> di Sirio (I, 23; Pingree I, pag. 66,7). [18] Sia Democrito, sia Sesto sono citati da Plinio, nat.hist. XVIII, 273-274, che J. Stade cita quasi alla lettera. Di Talete parlano Cicerone, de div. I, 111 e Aristotele, polit. I, 11 1259a6. [19] Intende qui il tramonto eliaco delle Pleiadi. Le Rogazioni sono le preghiere e processioni che hanno luogo nei tre giorni che precedono la festa dell’Ascensione di Cristo, cfr. M. Righetti, Storia liturgica, Milano, 1953, II, pp. 135ss. [20] Cfr. Plinio, nat.hist. XVIII, 284-286: «Pur se la vita dei nostri antenati era grossolana e illetterata, il loro empirismo non cedeva in nulla alle nostre teorie moderne. Paventavano infatti tre epoche per i raccolti e perciò istituirono i riti e i giorni di festa dei Robigalia, Floralia, Vinalia. Nell’undicesimo anno del suo regno Numa stabilì i Robigalia, che oggi si celebrano il settimo giorno prima delle calende di maggio (25 aprile), poiché è in questo periodo che la ruggine assale il frumento. [cfr. Varrone de re rustica I, 1, 6] con la posizione del Sole nel decimo grado del Toro, secondo la teoria allora accettata. Ma la vera spiegazione è un’altra: diciannove giorni dopo l’equinozio di primavera, durante i quattro giorni che precedono il 28 aprile (il quarto giorno prima delle calende di maggio), a una data che varia tuttavia secondo la latitudine degli osservatori, tramonta il Cane, costellazione per sè violenta e che necessita dell’uccisione di una cagnetta. I nostri antenati istituirono poi i Floralia quattro giorni prima delle calende (28 aprile) nell’anno 516 di Roma, seguendo gli oracoli della Sibilla, per la buona germinazione delle piante. Varrone data questa festa con l’ingresso del Sole nel quattrodicesimo grado del Toro. Ora, se la Luna piena cade nello spazio di questi quattro giorni, soffriranno necessariamente i raccolti ed ogni infiorescenza». Sull’uccisione della cagnetta cfr. Ovidio, Fasti, IV, 905ss. [21] Si deve presumibilmente intendere s. Urbano I papa e martire, onorato il 25 maggio. [22] Cfr. Plinio nat.hist. XVIII, 288. [23] Espressione per significare l’inganno dei più cauti, cfr. Cicero, pro Murena, 25. Le sorti cui l’autore allude, sono le venticinque che si trovano esposte alla fine dell’Isagoge dell’Alcabizio e che contemplano legumi, cereali, tutti i cibi distinti secondo i loro sapori, le piante medicinali. L’Alcabizio, al termine della loro descrizione, conclude: «Introduximus quoque has partes novissimas, etsi est in eis narratio debilis, ne dimitteremus aliquid quod posset esse introductorium ad magisterium iudiciorum astrorum, quin proferamus illud», cfr. V. Nabod, Enarratio elementorum astrologiæ, in qua præter Alcabicij..., Coloniæ, 1560 (pp.467-468), dove il testo latino dell’Alcabizio fu stampato per la terza volta. Questa opera del Nabod corrisponde, credo, ai Commentaria astrologica cui Jean Stade si riferisce poche righe più sotto: vide infatti la luce il medesimo anno delle Tabule Bergenses e presso il medesimo editore. |
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