Placido Titi, Coelestis Philosophia 2, 7

Della ripartizione delle dodici case

traduzione di Giuseppe Bezza.


Tante, così diverse  e tra loro dissonanti sono le opinioni dei professori dell’arte, che l’esporle è cosa gravosa e molesta. Ci sia nondimeno consentito di spendere poche parole allo scopo di cogliere l’intima verità della questione.

1. Alcuni dividono il circolo dei segni in dodici parti uguali mediante circoli che passano per i poli dello zodiaco. Di questi circoli, il primo passa per il punto del grado dell’eclittica che sorge ad oriente.

2. Altri dividono nel medesimo modo la linea parallela all’equatore che passa per il grado eclittico che sorge, descrivendo circoli condotti per i poli del mondo.

3. Altri dividono in parti uguali la porzione dello zodiaco compresa fra due angoli contigui;

4. Altri determinano le cuspidi delle case mediante doppie ore temporali assunte nello zodiaco, in modo che il grado zodiacale che dista dall’orizzonte due ore temporali si dica che è nella dodicesima casa, quella che ne dista quattro, nell’undicesima etc. In seguito, descrivono da questi punti circoli di posizione che passano per i luoghi di intersezione dell’orizzonte e del meridiano. Quale poi sia il fondamento di questi circoli di posizione, confesso di non comprendere.

5. Altri ancora dividono l’equatore conducendo cerchi che passano per le intersezioni del meridiano e dell’orizzonte e questa opinione è generalmente accettata dai contemporanei.

6. Altri infine dividono il circolo verticale che passa per i punti del sorgere e del tramontare dell’equatore mediante circoli che passano per le intersezioni dell’orizzonte e del meridiano.

7. Altri infine dividono gli intervalli tra gli angoli mediante le doppie ore temporali, come sembra aver tramandato Tolemeo. Questo per quanto è della discordanza delle varie opinioni.

Prima conclusio. La ripartizione delle case, affinché sia naturale, deve essere compiuta mediante parti fra loro proporzionali.

Probatur primo ex Ptolemæo, il quale sovente insegna che la casa undicesima osserva l’oriente con raggio esagonale, la decima con raggio quadrato, la nona con raggio di trigono. Ora i raggi (intuitus), altro non sono, secondo Tolemeo, quadr. I, 13, che parti proporzionali. Vuole pertanto Tolemeo che le case costituiscano tra loro parti proporzionali.

Secundo. Non vi è alcuna evidente ragione di disparità, per la quale una casa debba essere maggiore di un’altra. Del resto, la ripartizione delle case non dipende dalle condizioni accidentali dell’orizzonte, intendo dalla limpidezza o dall’oscurità o dal maggiore o minore ispessimento dei vapori o da altre simili affezioni. Epperò non nego che le case acquisiscano date qualità particolari in tali condizioni, quantunque per accidente, in quanto non sono stabilite sulla base di queste affezioni, che son mutevoli ed ora più intense, ora più estense e comunicabili da una all’altra. Ad esempio, una stella che declina molto dal culmine subisce quasi sempre l’offuscamento dovuto ai vapori, sia essa posta nella dodicesima, undicesima o decima casa. D’altro canto anche la settima casa è soggetta ai vapori al pari della dodicesima e nondimeno, se quella fra tutte è la più debole,  questa è di molte più valida. inoltre queste affezioni non sono riscontrabili sotto l’orizzonte, dove tuttavia non manca una ripartizione delle case. Mancando quindi una ragione di disparità, le case devono necessariamente essere tra loro uguali.

Secunda conclusio. Non è sufficiente che le case siano uguali tra loro rispetto ad un solo circolo, sia esso l’equatore o il circolo dei segni o il circolo verticale o qualsiasi altro circolo principale assunto ai fini della ripartizione. Occorre invero che le case siano ripartite sulla base di una divisione proporzionale, indipendente da questo o quel circolo.

Probatur primo ex Ptolemæo, che assume in quanto luoghi atti a significare la vita (aphetica loca) quelli che comunicano con l’oroscopo per raggio, mentre esclude assolutamente, egli dice, tra i luoghi medesimi che sono sopra l’orizzonte, neque illum locum, qui nullo familiaritatis vinculo cum Ascendente cohæret, accipere convenit, qui Argos, id est piger, a græcis dicitur. In seguito assume, come prorogatori della vita, quegli astri che per sè e per altre ragioni siano rinvenute atti a significarla in quelle case, pur se distano molto dall’equatore o da altro circolo assunto ai fini della ripartizione delle case. Tolemeo pertanto vuole che il prorogatore della vita osservi l’oriente dai luoghi delle case, qualunque sia la loro ampiezza e ne consegue che le case debbono intrattenere tra loro parti proporzionali anche secondo l’ampiezza.

Secundo. Nella questione delle case, o si deve assumere unicamente la longitudine lungo un solo circolo, sia esso l’equatore, il primo verticale, un circolo parallelo o altro, o si deve assumere uno spazio avente longitudine e latitudine. Invero, è necessario che le case abbiano anche una latitudine, altrimenti non si potrebbe affermare che gli astri sono nelle case. Pertanto, poiché è necessario, da quanto predetto, che le case intrattengano tra loro parti proporzionali, ne consegue che se non fossero uguali e secondo longitudine e secondo latitudine, non saranno neppure proporzionali tra loro. Non è quindi sufficiente che le case siano uguali rispetto ad un solo circolo, etc.

Tertio. Giudichiamo della quantità dei luoghi e di qualsivoglia spazio in funzione della misura offertaci dal moto; dice infatti Aristotele,[1] IV physicorum texto 112, misuriamo la quantità o mediante il moto o mediante il tempo, entrambi infatti si misurano mutuamente. Ora, le stelle illuminano le case anche nelle longitudini che assumiamo tenendo conto della loro latitudine, si deve quindi considerare che mantengono parti proporzionali anche rispetto alle case e ciò avviene, come dirò più oltre, nel senso che formano parti proporzionali nel modo medesimo in cui procedono da un cardine all’altro.

Tertia conclusio. la ripartizione delle case deve sempre permanere costante e nella medesima quantità in qualsivoglia orizzonte.

Probatur primo. Le case si osservano l’un l’altra mediante raggi, ma i raggi sono parti proporzionali, in sè sempre costanti, di una medesima quantità massima di una data porzione. Ed in seguito dimostreremo che tra i cardini vi è sempre la medesima quantità ed una porzione massima.

Secundo. Le case devono sempre avere la medesima natura. Ora, poiché esse traggono la loro natura dal proprio luogo, segue che non mutano natura se non mutano luogo.

Tertio. La ripartizione delle case è il modo mediante il quale ogni orizzonte della terra recepisce gli influssi del cielo. Ora, gli orizzonti non mutano la loro posizione, sono al contrario immobili, come immobile è la loro latitudine geografica. Non possono quindi mutare il modo con il quale recepiscono gli influssi del cielo: in verità, ogni azione si produce secondo il modo di chi l’accoglie. A conferma: il medesimo astro, in quanto è uno ed uno solo, in un solo e medesimo modo influisce nelle cose inferiori da quello stesso punto del cielo e da quello stesso sito rispetto all’orizzonte. E poiché influisce nel medesimo modo da quella medesima casa, ne consegue che ciascuna casa debba rimanere nel medesimo luogo rispetto all’orizzonte immobile.

Quarto. I quattro cardini del mondo rimangono immobili rispetto ad ogni ascensione e discensione dei segni. Si deve pertanto stimare che anche i luoghi intermedi che hanno tra loro distanze proporzionali debbano avere una collocazione immutabile. Ne consegue necessariamente che ciò che è equidistante rispetto a due luoghi deve, posto che questi luoghi rimangano immoti, rimanere necessariamente anch’esso immoto. Se così non fosse, non sarebbe rispetto ad essi equidistante.

Quarta conclusio. La divisione delle case, per essere naturale, deve essere conseguenza della divisione dell’influsso degli astri, non dello spazio del cielo o dell’aere che ci circonda.                

Per la comprensione di questo enunciato, notiamo che in due modi si può stimare che una stella sia nelle cuspidi delle case. Primo: possiamo supporre che le sezioni delle case siano date linee e luoghi fissi nel cielo ovvero dell’ambiente che ci circonda, anche in assenza degli astri, quasi ivi fossero circoli e confini reali, in modo che si possa dire che quando gli astri giungono ad essi si trovano in quelle case, a prescindere da ogni altro ragionamento. Secundo. Supponendo che le divisioni delle case siano prive di ogni confine e circolo, possiamo dire che gli astri sono in date case allorché giungono a distanze proporzionali rispetto ai cardini, a prescindere da ogni altro ragionamento o, almeno, che sia posteriore. Allora, il luogo della casa ha da considerarsi permanente, in quanto qualsiasi stella, qualsiasi grado del primum mobile si porrà sempre nel medesimo luogo e sito a costituire la medesima casa, in modo tale che non dai luoghi, ma dagli irraggiamenti dipendono le nature delle case: invero i luoghi delle case sono permanenti in qualsiasi orizzonte.

Probatur nunc conclusio primo: le case non si distinguono tra loro se non dalla familiarità ovvero dai raggi, ma i raggi non nascono se non da un corpo luminoso emittente. Pertanto le case devono essere costituite sul fatto che gli astri emanano e non sul fatto che siano confini o circoli nel cielo o nell'aere. L'enunciato minore risulta da quanto dichiarato nel capitolo de radijs. Nondimeno si dichiara per ora che gli aspetti, intuitus, sono influssi proporzionali che on possono provenire che da un corpo luminoso. E ciò è confermato dalla seguente argomentazione: se i raggi potessero nascere da una qualsivoglia parte non luminosa, ne conseguirebbe che qualsiasi parte del cielo sarebbe attiva al modo stesso delle stelle medesime e pertanto, come è stato detto altrove, il lume degli astri sarebbe vano. Inoltre, il modo dell'agire risiede nell'agente medesimo e pertanto i diversi modi dell'azione degli astri nei diversi luoghi risiedono nel lume degli astri e gli non lo assumono dalle case. Ma allora, mansioni di tal fatta, indipendenti dai raggi degli astri, sarebbero vane nel cielo. Gli astri invero producono raggi ai cardini, mediante i quali raggi mutano il modo della loro azione, poiché è mediante il moto che gli astri acquisiscono, rispetto ai cardini, distanze proporzionali. E queste distanze sono veri e propri irraggiamenti, come dimostrai altrove. Ora, è manifesto l'enunciato maggiore ed è comprovato dalla dottrina di Tolemeo, che dichiara sovente che le case si osservano mutuamente, e inoltre dalle argomentazioni testé proposte. Infatti, se una casa deve essere uguale rispetto all'altra, e se il loro numero deve essere dodici, ne consegue necessariamente che debbano mantenere tra loro una precisa distanza dell'irraggiamento. Ora, se la ripartizione delle case non avviene da altre distanze se non da quelle dell'irraggiamento, ne consegue necessariamente che le case altro non sono che gli irraggiamenti medesimi che possono scaturire solo dai corpi luminosi.

Secundo probatur: da ciascuna casa gli astri mutano la natura dei raggi e nondimeno, se non possono trarre questa varietà dal luogo, la traggono dall'influsso. Da qui l'enunciato minore: i luoghi sono parti di una quantità, la quale non è attiva ed è sempre della medesima natura, pertanto gli astri non traggono la variazione dell'influsso dal luogo.

Dices: le case non assumono le proprie qualità dai raggi, ma dai luoghi e dalle loro circostanze, onde Tolemeo così parla, fra l'altro, nel capitolo de locis apheticis, riguardo alla dodicesima casa:

Quoniam astrorum ibi commorantium in terram effluxus cum etiam ab angulo præcipitetur, turbat ac veluti abolet quæ ex terræ humoribus nascitur fumosa tenebricositas, qua de causa sui neque coloribus, neque magnitudinibus apparent.

poiché turba l’effluvio verso la terra degli astri che sono in esso ed è inoltre declinante; dall’u­midità della terra sale una densa esalazione e ca­liginosa, che intor­bi­da e quasi can­cella, onde le stelle non appaiono nei loro colori e nella loro magni­tudine veri.

Respondeo: le qualità che Tolemeo considera nella dodicesima casa sono qualcosa di più di quel che aveva precedentemente detto riguardo ai luoghi disgiunti all'ascendente e che elimina dai luoghi afetici, in primo luogo e soprattutto perché disgiunti all'ascendente. E certamente, per quanto attiene alle sue virtù, questa casa è più debole di molte per le ragioni da me più sopra addotte; ed ora si aggiunge la ragione della sua disgiunzione all'ascendente; in seguito che è indebolita dall'offuscamento e dalla nebbia che si leva dai vapori della terra e in breve viene ritenuta inetta a promuovere l'avanzamento della vita. In effetti, l'oscurità che proviene dai vapori della terra non può essere ragione sufficiente dell'eliminazione di quella casa; d'altro canto a simile perturbazione soggiace  anche l'angolo occiduo, e qui detta oscurità non è presa in considerazione. Inoltre, la partizione delle case è anche sotto la terra, dove non si produce alterazione alcuna dovuta ai vapori o ad altri accidenti. In seguito: i vapori si elevano ora più e ora meno, onde ne conseguirebbe che il confine della dodicesima casa dovrebbe ondeggiare con un flusso incostante ed un riflusso perpetuo. Infine, all'orizzonte obliquo la dodicesima casa dovrebbe essere maggiore più si va verso il mezzogiorno, minore mano a mano che si procede verso settentrione. E d'altra parte, se le passioni atmosferiche concernessero l'essenza e la proprietà stesse delle case, non vi sarebbe ragione  del non osservare anche le nubi, le piogge, i venti, le nebbie ed altri e quasi infiniti accidenti atmosferici nelle singole case e da ciò ne seguirebbero molte assurdità. Ora, il primo e principale fondamento della divisione delle case non è costituito da simili affezioni occasionali, ma dalle distanze proporzionali degli astri.

Tertio. Siffatti circoli e confini delle case non appaiono in cielo, né alcuna altra distinzione in forza della quale una casa sia caratterizzata diversamente da un'altra o ancora che una casa caratterizzi gli astri in un modo diverso da un'altra. Come già detto, non sono sufficienti le affezioni atmosferiche, ergo le case non traggono altra essenza se non dalle distanze proporzionali degli astri.

Dices: l'orizzonte è un circolo reale che divide l'universo in due emisferi, il visibile e l'invisibile; allo stesso modo il circolo meridiano lo divide in due emisferi, l'uno ascende e l'altro discende; e questi intervalli sono spazi reali ove compaiono distanze proporzionali reali, ergo etc. Respondeo primo: e nego che questi circoli determinati siano reali. La ragione di questa negazione è efficacissima e incontrovertibile, poiché ciò che è infinito in atto non è stato mai ammesso da alcun filosofo a causa delle cose infinite e assurde e impossibili che ne conseguirebbero. È d'altra parte indubbio che, se i predetti circoli fossero reali, poiché a ciascun punto della circonferenza terrestre occorre assegnare propri orizzonti e meridiani, diversi da altri punti, e i meridiani e siffatti punti sarebbero infiniti, in quanto sempre nuovamente determinabili, che tali orizzonti saranno infiniti in atto ed infiniti i meridiani. Dal canto mio ritengo che siffatti circoli non hanno alcuna essenza reale, se non che i luoghi della terra recepiscono in se medesimi la varietà di illuminazione degli astri, come ad esempio il divenir manifesto all'orizzonte orientale la luce degli astri che prima era nascosta e il suo discendere dopo il passaggio al meridiano, mentre prima ascendeva e il divenire occulta all'occidente allorché prima era manifesta, etc. E nondimeno ritengo che gli intervalli fra questi circoli non abbiano alcuna altra essenza reale che non sia la reale e successiva presenza degli astri e l'illuminazione loro, al punto che, se questi spazi non fossero illuminati dagli astri, potremmo a giusta ragione chiederci se essi abbiano alcunché di reale, giacché non differibbero dal nulla; e sarebbe allora indubbio e manifesto che non avrebbero alcuna virtù attiva, come del resto il circolo dell'orizzonte e del meridiano, giacché i luoghi della terra, quando non recepiscono codesta varietà dell'influsso delle stelle, non recepiscono alcun influsso.

Se poi tu insistessi assolutamente nell'affermare la realtà di questi circoli, respondeo secundo negando la conseguenza: infatti l'orizzonte, pur se divide l'universo in un emisfero visibile e in uno occulto, le parti non luminose non possono accogliere nessuna divisione, in quanto non appaiono in nessun luogo. Così, ad esempio, il circolo meridiano divide ciò che ascende da ciò che discende; ma, giacché le parti luminose non appaiono, possiamo asserire che esse non esistono e, se esistono, non possiamo riconoscerne il moto. Non mancano invero ingegni che immaginarono le stelle progredire come pesci nell'acqua ed uccelli nell'aria. Inoltre, essendo sprovviste di luce, che è il mezzo mediante il quale le stelle influiscono nelle cose inferiori, non possono trasmettere i loro influssi al mondo sublunare. In tal modo, sia che ascendano, sia che discendano, sia che si avvicinano a noi o se ne allontanino, nulla a noi significa. In verità, negli intervalli, le parti proporzionali possono essere prese in tanti modi quante sono le linee che a nostro piacere possiamo tracciare fra questi circoli, le quali aliae de novo et aliæ in infinitum et irregulares & recte & a novis circulorum punctis ad nova semper puncta, nisi adsint definitæ quantitates & termini seu puncta in ipsis circulis, a quibus proportiones intermediæ pendeant, non possumus affirmare in interstitijs huiusmodi proportiones, ut infra dicam.

Dices: il medesimo, in quanto tale, sempre rimane il medesimo, e pertanto porta a compimento se medesimo. Ora, gli astri, in se stessi, sono sempre i medesimi in ogni tempo, dal sorgere al tramonto. Quindi se le loro qualità e nature non fossero alterate dalle case, non potrebbero portare a compimento cose diverse, ma soltanto loro medesimi, ciò che è contrario alla ragione e all'esperienza. Respondeo negando la proposizione maggiore: qualsiasi causa agente, il fuoco ad esempio, se avvicinato a un soggetto passibile come il legno, rimane se medesimo finché suscita il calore nel legno e allora non produce il medesimo grado di calore generato primieramente, ma vi aggiunge nuovi gradi, diversi dal primo, se non altro per il fatto che parti di quantità continua sono diverse da altre parti. Infine il fuoco raggiunge la più alta intensità di calore e la forma stessa del fuoco. Ergo, il medesimo, pur rimanendo il medesimo, non porta a compimento se medesimo o, in altre parole: il medesimo può, in ragione del suo produrre se stesso, raggiungere diversi effetti per altre cause e condizioni. Respondeo secundo precisando la proposizione minore: infatti le stelle sono in se stesse sempre le medesime, anche per quanto concerne le loro qualità attive; poiché invero le stelle non recepiscono in cielo alcuna alterazione a loro immanente, come altrove è stato dimostrato, e nondimeno, rispetto al mondo sublunare, non permangono nella loro essenza medesima  - come del resto rispetto al Sole o l'una stella rispetto all'altra -  giacché variando in tal modo la propria disposizione, habitudo, variano altresì i loro effetti.

A maggior comprensione di quanto detto, occorre sapere che la natura e la qualità degli effetti di qualsivoglia causa efficiente può variare per un numero infinito di cause e se la causa efficiente è sempre la medesima per ogni cosa, lo è anche rispetto a tutte le qualità. Ora, le cause di tali variazioni degli effetti sono primo, certamente infinite le nature e le disposizioni fra di loro diverse delle cose passibili, in modo tale che non si può trovare due cose che abbiano assolutamente la medesima complessione. E poiché ogni azione della causa agente viene recepita in funzione della virtù propria del soggetto passibile, come sovente è stato dichiarato, ne consegue che la medesima causa, rimanendo identica in se stessa, può produrre cose diverse, come ad esempio il Sole con l'uomo genera l'uomo, con il leone il leone e così via, cose similmente affatto diverse e contrarie, in funzione della disposizione delle cose sublunari e della loro virtù ricettiva. Secundo: la causa della variazione degli effetti risiede nel diverso accostamento della causa efficiente: nel magnete ad esempio vi sono due poli e nell'uno viene attratto un altro magnete e nell'altro viene espulso e nondimeno è la medesima pietra. Ancora: il fuoco a una distanza media fa uscire i pulcini dalle uova, a una minore distanza li consuma, e vicino li brucia. Di nuovo: chi cammina a passo moderato sotto il Sole si riscalda moderatamente, se ristà o corre, immoderatamente; allo stesso modo una mano avvicinata al fuoco e mantenuta ferma si riscalderà vieppiù e infine si brucerà se non verrà rimossa; se poi verrà mossa attorno sopporterà una maggior vicinanza, in modo che, pur posta frammezzo la fiamma, non patirà alcuna lesione.

La causa di tanti diversi effetti di un medesimo agente celeste non è il luogo o la posizione secondo la sua essenza o la sua qualità, in cui consisterebbe la causa efficiente. Voglio dire che la natura e la qualità effettive della medesima causa non dipendono dalla natura e dalla qualità del luogo (e tuttavia è stato detto quale alterazione, pur lieve, può assumere la causa efficiente dalla posizione del luogo a causa delle varie affezioni del medio); al contrario, la causa principale della diversità degli effetti, o è la varia virtù ricettiva delle cose subordinate o la varia applicazione ad esse delle cause celesti, mediante la quale applicatio esse inviano quaggiù il loro lume, in quanto mezzo e strumento, instrumentalis causa, e producono effetti diversi, come è dichiarato nel primo libro.

Quarto probatur. Le case, per essere naturali, devono essere tra loro uguali e proporzionali, ma potranno essere uguali solamente se si assume il principio che gli influssi degli astri, ovvero i loro moti, devono essere ripartiti. Non potranno essere uguali se si prende a fondamento gli spazi del cielo o dell'aere, ergo etc. Probatur minor, et primo: le case saranno uguali se le stelle scorrono in esse in un uguale arco di tempo e se in tutte le singole case illuminano, in forza del loro moto, una quantità uguale, in modo che non infugino in una più che in un'altra, giacché se scorressero e permanessero in una maggior tempo che in un'altra, le ampiezze delle case (domorum mansiones) non possono dirsi uguali. Ergo, le case saranno uguali se si prende, a fondamento della ripartizione, gli influssi degli astri e i loro moti. Al contrario, se si assume il principio della ripartizione dello spazio celeste, ne consegue che indugiano maggiormente ed influiscono un tempo maggiore in una casa  che in un'altra e allora non potremmo dire che le case sono uguali.

In verità, ritengo che l'uguaglianza delle case deve essere definita in base al moto e al tempo dell'influsso, secondo Aristotele, phys. text. 113, dove il filosofo misura la quantità mediante il moto e il tempo e viceversa[2]. Pertanto, se le stelle non avanzano in uguale arco di tempo e non illuminano mediante il moto un'uguale quantità di spazio in tutte le singole case, ne consegue che le case non possono dirsi uguali e se venisse assunta una qualsiasi altra uguaglianza sarebbe incompatibile con l'argomento. Probatur secundo: l'attività che le case hanno, quale essa sia, proviene loro dai corpi luminosi, intendo gli astri. Abbiamo infatti altrove mostrato che ciò che è privo di luce non può essere attivo, pertanto le case traggono dagli astri anche la determinazione della loro quantità. Di conseguenza, ogni cosa la cui essenza dipende da qualcos'altro, da quel medesimo altro dipenderà altresì la sua quantità e la sua qualità. Se pertanto le case derivano la loro essenza attiva dall'influsso degli astri, da questo medesimo influsso deriveranno altresì a loro l'essenza quantitativa, etc. E questo argomento ha forte efficacia.

Quinto. Affinché le case celesti siano reali e naturali, devono essere distinte secondo una data quantità reale e naturalmente determinata. E non sembra che si debba assumere nessun'altra quantità reale e definita che non sia il moto e l'influsso delle stelle che si produce dal sorgere al culminare e agli altri cardini. Ergo minor probatur: quale che sia la linea assunta per la ripartizione dal sorgere alla culminazione, diversa da quella che un influsso mobile e reale descrive, è assunta e immaginata unicamente dall'arbitrio umano. Ergo, è manifesta la proposizione antecedente: infatti, l'influsso successivo degli astri, dal sorgere al culmine, è un moto reale e lascia, dietro di sé, un reale effetto nelle cose di questo mondo, come è stato dimostrato precedentemente. Gli astri, invero, agiscono nelle nostre cose inferiori senza interruzione, e d'altro canto l'azione è reale. Al contrario, qualsiasi linea o circolo venga assunto, che non sia descritta fisicamente da nessun mobile, è posta dal mero arbitrio degli uomini e pertanto è assolutamente fittizia.

A maggior intelligenza, osserviamo: se ci poniamo la questione del dividere lo spazio compreso tra l'orizzonte e il meridiano, dobbiamo riconoscere che la questione può essere risolta, come dichiarato più sopra e in altri passi, in tanti modi quante sono le linee che possono essere descritte dall'orizzonte al meridiano. E tali modi sono infiniti, giacché in questi circoli possiamo determinare infiniti punti dai quali descrivere le linee. Pertanto, l'intera questione si pone nel modo seguente: quali sono i punti, sia nell'orizzonte che nel meridiano, fra i quali devono essere descritte le linee secondo parti proporzionali ovvero le case celesti da dividere.

Quinta conclusio. I punti nell'orizzonte e nel meridiano dai quali devono essere condotte le linee per la divisione delle mansioni celesti sono i punti nei quali le stelle sorgono e passano il meridiano.

Probatur primo ex dictis: abbiamo detto in precedenza che ogni attività e, conseguentemente le qualità e quantità delle case dipendono dai corpi luminosi. E ciò significa che tutte queste loro proprietà derivano loro dal moto di detti corpi e dalla loro presenza, sia negli angoli, sia negli intervalli. Ne consegue che la quantità che deve essere distribuita nelle case è il moto delle stelle, dal punto del loro sorgere al punto del loro passaggio al meridiano, etc.

Secundo: qualsiasi altro punto venga assunto e qualsiasi altra linea venga tracciata fra questi punti, saranno assunti e tracciati per il mero arbitrio umano e non hanno alcun fondamento reale in natura, ergo etc.

Tertio: le case e le distanze proporzionali degli astri ai cardini devono essere assunte a partire dal luogo in cui hanno dato inizio all'intervallo, ergo etc. non può che apparire irragionevole, infatti, che le stelle principino il proprio intervallo a partire da un punto e che poi assumano la misura e la quantità del medesimo intervallo a partire da un altro punto determinato dall'arbitrio umano.

Quarto. Una casa altro non è che lo spazio che una stella percorre ed illumina a partire dal punto del suo ingresso nella casa medesima fino al punto della sua uscita. Pertanto, la quantità di quella casa deve essere presa da tali punti e per la medesima ragione la quantità delle tre case comprese tra il sorgere e il culminare deve essere assunta dal punto del sorgere e dal passaggio al meridiano, intendo dire l'ingresso e l'uscita degli astri dal quadrante medesimo. È pertanto manifesta la proposizione precedente: lo spazio di una casa è quello in cui la stella, mentre trascorre il tempo, lancia a noi i suoi influssi in conformità alla natura di quella casa. E questo, d'altra parte, la stella non può produrre se non nel mentre si trova in quella casa, ovvero dal punto del suo ingresso a quello della sua uscita, ergo la quantità di quella casa deve essere assunta da quei punti.

Sexta conclusio. La prima divisione del mondo deve effettuarsi in quattro quadranti.

Probatur primo ex Ptolemæo, che sovente ordina alternativamente i quattro quadranti del mondo, l'uno orientale, l'altro occidentale, e attribuisce ai quadranti orientali ed occidentali proprietà e natura diverse, come ad es. nel capitolo de signis masculinis & femininis, nel cap. de coniugio e altrove. Non diversamente, nei fatti di natura i filosofi pongono la vera distinzione di concetti opposti in forza della diversità della proprietà e della natura.

Secundo. Mediante il moto diurno gli astri alterano i quattro primi corpi [id est elementa] che son per natura l'un l'altro diversi. Pertanto, quei luoghi che mostrano tale azione saranno per natura diversi; ergo, il moto diurno delle stelle deve essere diviso in quattro parti.

Septima conclusio. Queste quattro parti sono costituite e definite da due cerchi massimi, l'orizzonte e il meridiano.

Probatur primo ex Ptolemæo che, in diversi passi, ad es. cap. de locis apheticis, con il nome di oroscopo non intende il luogo in cui sorge il grado dell'eclittica, ma quella linea che rende visibili al nostro sguardo le stelle.  Dice infatti: quod cum horoscopo ad lucem venit, e questa linea è l'orizzonte orientale e in molti passi di tutto il trattato appare chiaramente che questa è l'opinione di Tolemeo.

Secundo probatur. Non vi è certo difficoltà riguardo al grado zodiacale oroscopante e che si trovi alla cuspide della prima casa è da tutti ammesso. Tuttavia vogliamo ora dimostrare che le stelle che si allontanano per la loro latitudine <dall'eclittica> sono di fatto sulla cuspide della prima casa allorché si trovano sull'orizzonte, ciò che Argoli disputa. I gradi dell'eclittica, in qualunque punto dell'orizzonte sorgano, si pongono sulla linea dell'orizzonte, ergo anche le stelle, in qualunque punto sorgano, si collocano sull'orizzonte medesimo e non vi è alcuna ragione di dissimiglianza.

Dices: l'agente e il paziente sono uniti con maggior efficacia quando sono l'un l'altro più prossimi, non quando sono più lontani. Pertanto, per quanto è della sfera attiva della virtù [sphæra activitatis virtutis, ovvero la vis luminis] è più forte quella virtù che è più prossima al suo principio e alla sua causa. Ma se il Sole è all'oriente, le stelle a lui congiunte secondo longitudine sono a lui più vicine di quelle che sono con lui nel medesimo angolo. E ciò può facilmente essere dimostrato: infatti, le stelle che sono in contatto con il Sole per longitudine, se sono a lui congiunte corpo per corpo, devono essere necessariamente con lui nell'angolo d'oriente. Nella figura iii, ad esempio, Venere che ha una latitudine boreale di 9 gradi e una longitudine di 0 gradi Piscium, è sorta all'incirca con il decimo grado dell'Acquario nel punto m dell'oroscopo. Se in questo grado dell'Acquario fosse posto il Sole nell'oroscopo medesimo, onde ne conseguirebbe che sorgerebbe con Venere, il Sole disterebbe maggiormente da Venere di quanto disterebbe se fosse posta nella sua medesima longitudine, a gradi 0 Piscium. La medesima figura mostra d'altronde che il punto m dista maggiormente da Venere di quanto il Sole <disti dal punto m>.

particolare della figura 3 della Coelestis Philosophia,
con le descrizioni dei circoli principali

Questa argomentazione è validissima e in sè incontrovertibile: gli astri sono più strettamente congiunti al Sole per longitudine che non se fossero sul medesimo circolo dell'orizzonte. E nondimeno non ne consegue necessariamente che gli astri, così posti, siano all'oriente, ovvero sulla linea medesima dell'oroscopo, giacché, come altrove ho esposto, diversi sono gli aspetti nel mondo e nello zodiaco. Da qui scaturisce una chiarissima distinzione fra le congiunzioni degli astri nello zodiaco, che si accorda al modo di computare i raggi nello zodiaco, e fra le congiunzioni degli astri nel mondo, che si accorda al modo di assumere i raggi nel mondo, così come io ritengo e come ho spiegato in altri luoghi. Con questa distinzione: che gli astri, nello zodiaco, non sono tutti congiunti od opposti se non entro la sfera della loro attività, che Tolemeo ha definito in 8 gradi per Venere, in 12 per Giove, etc. Non così nel mondo, ove infatti due stelle sono congiunte quando si trovano insieme nel medesimo circolo orario di posizione, pur se molto distassero in forza della diversa declinazione, e di ciò abbiamo trattato altrove.

Da ciò appare come l'opinione di Argoli può essere al contempo vera e falsa: infatti due stelle sotto il primo mobile o, se preferiamo, nello zodiaco, sono congiunte quando hanno la medesima longitudine, purché, secondo la latitudine, non distino l'una dall'altra più della loro sfera di virtù attiva. E ciò è possibile anche se non si trovassero nel medesimo circolo orario di posizione. Per contro, se distassero più della loro sfera d'influenza, non sarebbero congiunte nello zodiaco e nondimeno potrebbero essere congiunte nel circolo di posizione.

Neque dicas: se due elementi sono tra loro in rapporto, ne consegue che entrambi avranno il medesimo rapporto con un terzo elemento qualsiasi;* ergo, se sono uniti per longitudine, è altresì necessario che lo siano rispetto al mondo e se uno di essi è in un angolo, è necessario che anche l'altro lo sia. Questa argomentazione proviene dal principio  che coloro che sono uniti nel tutto lo sono anche rispetto ad ogni cosa. Ma coloro che si uniscono in virtù sono in contatto solo per le loro virtù e ne consegue che possono avere un diverso rapporto ad un terzo qualsiasi, sia per corpo, sia per virtù. Può al contrario accadere che l'uno tocca per virtù l'altro e da quest'ultimo non sia affatto toccato, se colui che tocca ha una sfera di virtù più grande dell'altro che è toccato. Può infatti avvenire che chi ha minor virtù si trovi entro la sfera di colui che ha virtù maggiore e pertanto soggiace all'altro e non può inoltre influire in lui, giacché non lo tocca con la sua virtù in quanto la sua fera attiva è minore. E questa distinzione deve essere sempre considerata, come spessissimo accade in questa disciplina.

Tertio probatur. Le parti del mondo devono essere disposte e definite in rapporto alle diverse passioni della luce che gli astri acquisiscono in quelle medesime parti, diversità in forza delle quali producono qualità diverse; in tale modo la distinzione è reale, poiché i diversi effetti dimostrano irrefutabilmente la diversità della causa o almeno della virtù efficiente; infatti, ciò che è medesimo, in quanto tale, produce se stesso, le cause contrarie il contrario, come leggiamo in Aristotele, gen. corr. ii, text. 55.[3] Le stelle acquisiscono diverse e contrarie passioni luminose nei circoli dell'orizzonte e del meridiano, ove infatti a noi accedono e da noi recedono e si rivolgono quindi a moti contrari e mediante queste passioni occasionano qualità diverse e contrarie, come nel luogo citato mostra il filosofo. Dal sorgere al meridiano infatti salgono e illuminano, quindi scendono al tramonto, e illuminano; poi discendono all'imo e si celano, poi di nuovo ascendono all'orizzonte e sono celate. Ne consegue pertanto che i cardini del mondo dividono i moti delle stelle, in quanto in essi gli astri ascendono e discendono, appaiono e si celano. Ergo, le quattro regioni del mondo non possono essere ripartite che dai circoli dell'orizzonte e del meridiano.

Quarto probatur. Due sono i moti degli astri: nel circolo dei segni e nel mondo, rispetto alla terra e in entrambi non influiscono nel mondo sublunare per la loro luce e per i loro diversi modi d'azione in un moto più che in un altro. Nel circolo dei segni acquisiscono una diversa virtù, in quanto aumentano o diminuiscono la luce o in quanto sono più o meno manifesti o latenti, allo stesso modo del Sole: quando perdura più a lungo sopra l'orizzonte ed aumenta i giorni ed occasiona il tempo vernale in virtù del calore e dell'umidità; e quando diminuisce i giorni ed occasiona l'estate in virtù del calore e della secchezza; e quando permane più a lungo sotto l'orizzonte e aumenta le notti ed occasiona l'autunno in virtù del secco e del freddo; e quando diminuisce le notti ed occasiona l'inverno in virtù del freddo e dell'umido. ¶ Non diversamente si deve ragionare dei moti rispetto alla terra, ovvero al mondo, giacché il Sole, dal sorgere al meridiano, ove accresce la luce, arreca le qualità della primavera; da qui all'occidente, ove diminuisce <lucem>, la qualità dell'estate; poscia fino all'imo, ove accresce le tenebre, la qualità dell'autunno e infine fino al sorgere, quella dell'inverno. ¶ Questa dottrina è comune ad autori profondi, quali Galeno e Tolemeo, e risulta inoltre dal passo di Aristotele sovente citato, laddove il filosofo considera le cause della perpetuità della generazione e della corruzione e le ascrive unicamente all'accesso e al recesso della luce: Videmus enim, dice, quod adveniente quidem Sole generatio est, recedens autem corruptio, e di nuovo: si in adveniendo et prope esse generat, & in recedendo & longe fieri id ipsum corrumpit, secondo quanto occasiona il Sole nel corso dell'anno; infine: et in sæpe adveniendo, ovvero nelle rotazioni diurne, che continuamente si producono, al contrario del moto nel corso dell'anno, che non sovente si produce, generat, & in sæpe recedendo corrumpit, contrariorum enim contrariæ causæ, etc.[4] Ora, poiché l'accesso, il recesso, l'esser vicino e l'esser lontano e i moti contrari che tutti si producono nello spazio diurno sono distinti unicamente dall'orizzonte e dal meridiano, ne consegue necessariamente che i moti diurni delle stelle sono anzitutto divisi da questi circoli.

Così stando le cose, ricusiamo, primo, la divisione del circolo dei segni in 12 parti uguali mediante circoli che passano per il polo medesimo dello zodiaco, il primo dei quali passa per il grado dell'eclittica che sorge. Infatti, una simile divisione è incostante e non ripartisce le passioni luminose e, pertanto, neppure le qualità prime che da esse scaturiscono. Inoltre determina il cardine supremo al di fuori del circolo che s'inclina sullo zenith, contrariamente alla dottrina di Tolemeo e ad ogni argomentazione più sopra esposta.

Secundo reijcitur la ripartizione effettuata sulla linea parallela all'equatore che passa per il grado eclittico che sorge, descrivendo circoli che transitano per i poli del mondo, e questo, a un dipresso, per le medesime ragioni.

Tertio rejicitur la ripartizione delle porzioni dello zodiaco comprese tra i cardini, poiché incostante e soggetta a perpetua mutazione.

Quarto reijcitur l'opinione esposta al p. 4, la quale contiene in sé una palese contraddizione: è pur vero che assume dei circoli di posizione, ma non pone i gradi dell'eclittica sulle cuspidi delle case se non secondo le ore temporali, le quali, come è noto, non si accordano con i circoli di posizione. Pertanto, questa opinione deve essere rifiutata in quanto assolutamente inane.

Quinto rejicitur la divisione dell'equatore compiuta mediante circoli di posizione per un principio validissimo: in effetti, al di fuori dell'equatore le case non sono uguali e proporzionali, come mostrerò e come afferma Magini nel canone 24 delle sua Tabulæ primi mobilis; e in tale modo le stelle che non giacciono sull'equatore non osservano i cardini dai punti quelle sezioni, giacché invero, in qualunque modo tu voglia considerare la questione, non hanno alcuna proporzione rispetto ai cardini. In conclusione, questa ripartizione risulta essere fra tutte la più debole.

Nondimeno, per la maggior comprensione della questione: primo, occorre considerare quanto dichiarato all'inizio. Poiché le case altro non sono che distanze proporzionali da un cardine all'altro, queste distanze possono essere considerate in più modi, quante sono le linee tracciabili da un cardine all'altro. E poiché se ne possono tracciare sempre di nuovo e all'infinito, ne consegue che sono state proposte varie sentenze discrepanti.

Secundo. Poiché le case sono determinati spazi provvisti di longitudine e di latitudine, alcuni autori divisero anzitutto in longitudine un circolo principale (così come è stato riferito riguardo alle varie sentenze), quindi, condotti i circoli da questi punti al settentrione e al mezzogiorno, stabilirono le longitudini delle altre case, prese entro la larghezza, mediante la ripartizione dei paralleli al primo circolo ripartito, e stabilirono per lo più, come centro di questi paralleli, quel punto, sia a settentrione, sia a mezzogiorno, dove confluiscono tutti i circoli delle case. ¶ Ad esempio, coloro che dividono il cerchio verticale in punti che ripartiscono il circolo medesimo, conducono i circoli di posizione per le comuni intersezioni dell'orizzonte e del meridiano, in modo tale, come osservò Nabod, che tutte le longitudini appaiono proporzionalmente divise entro la latitudine, ovvero tutti i paralleli rispetto a questo circolo verticale, laonde, qualunque sia la distanza in latitudine di una stella dal circolo verticale, conserva quella medesima proporzione dalle cuspidi delle case ai cardini che ha nel verticale medesimo, pur se il parallelo, in cui è sita la stella, sia minore in quantità per la ragione sottilmente addotta dal medesimo Nabod. Poiché, in verità, non è necessario che la qualità sia mutata a causa della mutata quantità della figura, in quanto i coluri distinguono i quadranti al medesimo modo, sia presso i poli, sia presso l'equatore. Nel nostro caso presente, la relazione che la porzione del circolo verticale compresa tra l'undicesima casa e l'orizzonte orientale ha rispetto al circolo intero è la medesima che la porzione di qualsiasi parallelo, compresa fra il medesimo circolo di posizione dell'undicesima casa e l'orizzonte orientale, ha rispetto all'insieme dei paralleli: ora, entrambe le porzioni rappresentano la sesta parte di entrambi i circoli. Non ha infatti alcuna importanza che i circoli siano tra loro dissimili quanto alla quantità: sufficiente che abbiano un proprio particolare rapporto al loro circolo intero. D'altra parte, coloro che dividono lo zodiaco mediante circoli che passano per i suoi poli dividono con la medesima proporzione i paralleli all'eclittica. Ciò avviene per la semplice ragione che in entrambi i modi esposti i circoli delle case, dal settentrione al mezzogiorno,  confluiscono nel centro del circolo massimo assunto ai fini della ripartizione medesima. E questo è il punto ove fa difetto la divisione riferita all'equatore: essa infatti non conduce i circoli di posizione attraverso i poli dell'equatore, che ha primieramente assunto  in quanto circolo ripartitore. In tal modo i paralleli all'equatore non appaiono proporzionalmente suddivisi, come può essere facilmente dimostrato su una sfera solida. Ne consegue che le case al di fuori dell'equatore non conservano proporzione ed uguaglianza, e ciò è incongruo. È d'altro canto manifesto che questa ripartizione non mantiene, al di fuori dell'equatore, nessun altra proporzione, in qualsivoglia modo volessimo considerare la proporzione e la suddivisione. Pertanto, questa divisione delle case deve essere ritenuta fra tutte la più debole.

Dices primo. Al di fuori dell'equatore le case non devono essere comprese secondo proporzione ed uguaglianza: è sufficiente che esse siano uguali e proporzionate nell'equatore medesimo, in quanto cerchio massimo e regola del moto del primo mobile. In seguito, appare necessario condurre circoli massimi per le comuni intersezioni dell'orizzonte e del meridiano, poiché i quadranti del mondo iniziano ad essere ripartiti a partire da queste intersezioni e si separano in larghezza mediante circoli massimi. Allo stesso modo è consono alla ragione che le parti intermedie siano costituite in forza di circoli massimi.

Dices secundo. Al di fuori dell'equatore le case mantengono distanze proporzionali rispetto agli angoli sui loro circoli di posizione, in quanto i paralleli al circolo verticale appaiono essere divisi proporzionalmente dal circolo di posizione medesimo. ¶ Poni che il Sole si trovi nell'equatore sulla cuspide dell'undicesima casa: le stelle, qualunque sia la loro declinazione, che si trovano nel circolo di posizione dell'undicesima casa, mantengono distanze proporzionali ai cardini al modo medesimo del Sole. Se infatti conducessimo circoli paralleli al circolo verticale attraverso il corpo del Sole e i corpi di quelle stelle, ci accorgeremmo con certezza che tali paralleli sono divisi proporzionalmente. E secondo questo medesimo principio stimiamo le congiunzioni degli astri che vanno incontro ai prorogatori per il moto della direzione, allorché, per l'appunto, giungono ai loro circoli di posizione.

Ad primum respondeo ex dictis. Le case devono attenersi, senza alcun dubbio, al principio di uguaglianza anche al di fuori del circolo principale che viene assunto per la loro ripartizione, in modo tale che le stelle, ovunque esse siano, se si trovano nelle cuspidi delle case, mantengano distanze proporzionali. Inoltre, neghiamo che si debbano condurre circoli massimi per le intersezioni comuni dell'orizzonte e del meridiano, e questo per un'altra ragione: questi circoli costituiscono i quadranti del mondo, poiché gli astri in essi mutano il modo dell'illuminazione e il modo dell'influsso. È parimenti consono alla ragione che nei singoli quadranti venga assunto, ai fini della suddivisione, ciò per la cui virtù un quadrante si differenzia dall'altro: invero, il modo dell'illuminazione e il modo dell'influsso sono, in se stessi, un tutt'uno.

Ad secundum respondeo che in tal guisa la divisione dell'equatore mediante circoli di posizione riposa su una forma mista, assolutamente lontana da un principio naturale: da un lato, si procede dividendo l'equatore, dall'altro le distanze proporzionali sono confrontate rispetto al primo verticale e questi due modi son tra loro diversi, e di questi l'ultimo aderisce alla dottrina della divisione del primo verticale, la quale, come mostrerò, non è naturale. Pertanto questa formulazione ha in sé una contraddizione: infatti, se lungo l'equatore assumiamo parti proporzionali dell'equatore medesimo per definire le distanze delle case dagli angoli, perché, al di fuori dell'equatore dobbiamo assumere parti proporzionali dei paralleli al primo verticale? o si assume una divisione o un'altra, entrambe non è dato, poiché confliggono. Infine: il Sole, ad esempio, posto sull'equatore  nell'undicesima casa, dista dall'oriente una sesta parte dell'equatore ed un'altra stella, posta nel circolo verticale nel medesimo circolo di posizione del Sole, non dista dall'oriente la sesta parte del verticale medesimo, come si può dimostrare sulla sfera, e neppure se tu prendessi in qualsivoglia altro modo la sua distanza dall'oriente. Ergo, non si può affermare che quella stella è con il Sole nella medesima casa.

Reprobatur adhuc huiusmodi sententia. Le ragioni del dividere il cerchio equatoriale possono essere: primo, perché è un circolo massimo; secundo, perché la sua divisione mostra spazi delle case tra loro uguali; tertio, poiché è la regola del moto del primo mobile; quarto, poiché è la via del moto degli astri che sono sotto di esso; quinto & ultimo, per tutti questi criteri; altre ragioni non ve ne sono. ¶ Ora, la prima ratio non è sufficiente, poiché vi sono molti altri circoli massimi e non appare ragione alcuna che uno sia più degno o più appropriato alla ripartizione delle case. E neppure la secunda che invero, come dimostrai, è debole, poiché anche dividendo gli altri circoli possono apparire case uguali. La tertia ratio non è sufficiente, poiché il moto del primo mobile può essere altrettanto ben calcolato in qualsivoglia parallelo all'equatore, in quanto i gradi dell'equatore e i gradi di ciascun suo parallelo progrediscono col medesimo passo. E questo è ben ammesso anche da Nabod ed è evidente e d'altro canto, se l'equatore è la regola del moto del primo mobile, lo è solo per quanto concerne la nostra conoscenza, ma l'equatore in nulla influisce sul moto del primo mobile. Se accettiamo la quarta ratio, ne consegue che, dopo aver assunto il moto degli astri lungo l'equatore, allo stesso modo dobbiamo assumerlo al di fuori di esso. E se accettiamo tutte queste rationes, ne consegue che, affinché le case siano uguali, devono essere descritte anche al di fuori di questo circolo, ovvero anche in altri circoli che siano regola del moto del primo mobile e del moto degli astri, come sono i paralleli all'equatore. E allo stesso modo per cui si divide l'equatore, perché è la via del moto degli astri, si dividano anche gli altri circoli, poiché sono le vie del moto degli astri, e queste vie sono circoli paralleli all'equatore.

Sexto, & ultimo loco rejicitur la divisione del circolo verticale che transita per il sorgere e il tramonto dell'equatore. Questa divisione, pur essendo in sé proporzionale e permanente, non è tuttavia una ripartizione naturale, e dimostriamo.

Primo, non divide il moto degli astri e l'influsso, ma regioni dell'aria.

Secundo, non assume le distanze proporzionali delle case dai termini del moto degli astri, a quo & ad quem, ma dai punti dei loro paralleli, che non hanno nessun essenza reale e naturale, se non da un nostro punto di vista.

Tertio, la congiunzione degli astri con l'ascendente avviene nel punto del loro sorgere e l'opposizione nel punto del loro tramonto. Pertanto, le distanze proporzionali intermedie non avvengono nei punti dei loro paralleli, nei quali gli astri né sorgono, né tramontano. È quindi sciocco assumere le distanze dei moti da punti diversi del loro inizio e della loro fine, i quali si trovano nei termini in cui principia e in cui finisce il loro moto. Poni che qualcuno da Ostia si diriga a Roma e la distanza tra le due città sia di nove miglia, non è forse sciocco affermare che, dopo aver percorso tre miglia, il viaggiatore si trovi ad una media distanza per il fatto che quel luogo in cui è giunto e che dista tre miglia da Ostia, quel medesimo luogo dista, secondo una diversa via, sei miglia da Ostia? Le distanze dei corpi mobili devono pertanto essere assunte dai termini medesimi del loro moto, a partire dai quali hanno iniziato ad influire e ad accrescere le loro distanze in forza del movimento fino ad acquisire distanze proporzionali. E per una migliore comprensione.

Octava conclusio. La ripartizione delle case, perché sia naturale, deve farsi per le doppie ore temporali dei luoghi e delle stelle, ovvero mediante una divisione proporzionale dei moti o, se preferiamo, degli archi mobili da uno all'altro angolo.

Probatur primo da un passo di Aristotele, che in 4 phys. 113 dice: Noi misuriamo non solo il movimento mediante il tempo, bensì anche il tempo mediante il movimento, in virtù della loro determinazione reciproca; il tempo, infatti, determina il movimento, essendo numero di esso, e il movimento determina il tempo. E diciamo molto o poco tempo misurandolo col movimento. Il mobile misura quindi la distanza con il moto del mobile medesimo e con il tempo del suo medesimo movimento.

Dices: questo passo di Aristotele non conviene al proposito nostro: qui invero il filosofo determina il modo con cui possiamo misurare la quantità, il moto, il tempo, ovvero ciascuna cosa ad ogni elemento, affinché ciascuno comprenda l'altro, e non dice che il mobile, nel suo movimento, misura e definisce distanze proporzionali temporali di una precisa quantità. Respondeo primo: la nostra cognizione del tempo, del movimento e di una quantità compiuta è posteriore, poiché dipende dal movimento del corpo mobile, come da causa ed oggetto. Se la nostra cognizione s'immagina cose che non sono né in natura, né nelle cause, è vana e meramente arbitraria e non vi può essere verità che non sia un'entità reale. Ora, Aristotele presuppone che la grandezza, il movimento, il tempo precedano la nostra cognizione, nonostante ci serviamo di uno di questi elementi, in quanto a noi meglio conosciuto. Ma in effetti avviene che il mobile si muove, produce tempi, etc., prima della nostra cognizione.

Respondeo secundo: il modo d'azione è nell'agente stesso, nella misura in cui l'azione fluisce dall'agente. Sarebbe sciocco affermare che la velocità dei passi e le distanze proporzionali sono compiute da Pietro, il cammino invece da Paolo, sì che non Paolo che si muove, progredisce veloce o lento e produce distanze proporzionali, ma Pietro che sta fermo. Pertanto, il corpo mobile, nel suo progredire da un cardine all'altro, davvero misura realmente lo spazio dell'intervallo e definisce tutte le distanze: quelle proporzionali e quelle non proporzionali. Del resto, ci è data la sola possibilità di riconoscere codesta dimensione e le distanze, non  di definirle.

Dices: da qui ne segue che gli aspetti, intuitus, non sono emessi se non dai corpi in movimento, ab illis mobilibus, che si muovono singolarmente e gli uni rispetto agli altri; ne segue inoltre che non si può affatto dire che le stelle fisse si osservano tra loro; ma che ciò sia falso lo dimostra il lume che esse inviano, poiché, in verità, l'aspetto, intuitus, è distanza proporzionale di un corpo luminoso, etc. Ergo, ciò è falso. E confermo: si dice che i segni si osservano tra loro, e tuttavia non si muovono gli uni rispetto agli altri, ma rimangono sempre nella medesima reciproca configurazione e disposizione. Respondeo: è verissimo che non si dà aspetto se non fra due corpi in movimento e che mutano con il loro moto la distanza che intercorre tra loro. E pertanto sono dell'opinione che le stelle fisse non si osservano tra loro, giacché altrimenti emergerebbe un'inestricabile confusione di raggi tra loro. L'irraggiamento delle stelle fisse essendo permanente, esse stelle non avrebbero la loro qualità d'azione dalla natura propria della loro luce, ma la commistionerebbero con la natura delle altre fisse che osservano, e ciò è falso. La luce che le fisse proiettano tra loro è tale quale la luce dei pianeti nei luoghi congiunti. I segni non si osservano tra loro, ma le stelle erranti in essi presenti: il segno del Leone è caldissimo, come l'Acquario, che gli si oppone, freddissimo e lo Scorpione, che l'osserva col quadrato, anch'esso è freddissimo. Ma con il diametro ed il quadrato i pianeti comunicano intensamente la loro natura. Questa è la comune opinione, onde Saturno con quei raggi ai luminari arreca un forte freddo, Marte calore, etc. Ma Tolemeo considera nelle stelle fisse solo la presenza e il coascendere, non i raggi.

Secundo probatur ratione. Le case sono uguali quando gli astri dimorano nelle singole case tempi uguali e pertanto devono essere ripartite secondo la doppia ora temporale. E la proposizione maggiore è manifesta, poiché gli astri influiscono  a noi in modo sempre successivo e incessantemente: ora, se influissero un tempo maggiore in una casa, e minore in un'altra, le porzioni dei loro soggiorni non sarebbero uguali.

Tertio. Secondo codesta ripartizione, le stelle site nella cuspide dell'undicesima casa osservano l'oroscopo con il sestile, dalla decima con il quadrato, dalla nona con il trigono, e questo secondo i precetti di Tolemeo. Ma ciò non avviene negli altri modi del dividere le case e pertanto questa mia ripartizione è naturale e consona ai precetti di Tolemeo. La proposizione prima è manifesta, giacché la stella che si trova sulla cuspide dell'undicesima casa è nella terza parte di tutta la distanza tra il sorgere e il tramonto; nella decima a distanza media; nella nona, a due terzi, ergo etc. E ciò non avviene nelle altre ripartizioni delle case, come è manifesto ed è già stato dimostrato.

Dices: le case non sono uguali neppure sulla base della doppia ora temporale: infatti, al di fuori dell'equatore, verso il settentrione, appaiono più grandi quelle sopra la terra e il contrario verso il mezzogiorno, ergo etc. E questa è una serisssima difficoltà. Respondeo tamen primo che fra le case l'uguaglianza è richiesta solo nel medesimo emisfero e ciò dipende dalla ripartizione del mondo in quattro quadranti o, almeno, dalla divisione nei due emisferi: il superiore e l'inferiore, per le ragioni più sopra addotte. Ma l'emisfero superiore non differisce dall'inferiore nella qualità della figura, sebbene possa differire in quantità, come d'altra parte ha sottilmente argomentato Nabod. E le stelle, quantunque nella loro rotazione possano permanere più tempo sopra o sotto la terra, illuminano nondimeno intieramente i quadranti del mondo. E la velocità delle stelle nell'illuminare i quadranti non ne diminuisce l'effetto e l'intensità, come vediamo nella Luna, che illumina assai più rapidamente degli altri astri i quadranti dello zodiaco e con circuito assai minore e tuttavia significa le qualità dei tempi non meno degli altri; e questo per la semplice ragione che all'integrità dell'influsso è sufficiente l'integrità dell'illuminazione del quadrante, e se il quadrante è minore in quantità o viene illustrato più rapidamente, non ha alcuna importanza. Da qui segue che gli astri producono i loro effetti nei quadranti minori o percorsi più rapidamente, né più, né meno che nei più grandi o percorsi più lentamente. E poiché le case ripartite secondo la doppia ora temporale sono parti proporzionali dei quadranti, ne segue che tutte sono tra loro uguali quanto all'influsso, pur se sono disuguali, per la quantità della loro ampiezza, degli archi intendo, nei diversi emisferi. E secondo il medesimo principio ritengo che il prorogatore rimanga immobile nel mondo, ovvero nel circolo orario di posizione, quantunque acceda a parti di arco maggiore o minore nel primo mobile secondo il moto di direzione, come mostra nel capitolo de immobilitate prorogatoris.

Respondeo secundo: questa difficoltà si ripropone in tutte le ripartizioni delle case, tranne in quella del primo verticale, la quale divisione, tuttavia, non è naturale per le ragioni sopra addotte.



[1] phys. IV 219a10: «Poiché il mosso si muove da un punto verso un altro, e ogni grandezza è continua, il movimento segue alla grandezza. Infatti, poiché la grandezza è continua, è continuo anche il movimento, e per il fatto che lo è il movimento, è continuo anche il tempo, giacché la quantità del tempo trascorsa è proporzionata a quella del movimento». (trad. di A. Russo, Bari, 1968, p. 111).

[2] phys. 220b15: «Noi misuriamo non solo il movimento mediante il tempo, bensì anche il tempo mediante il movimento, in virtù della loro determinazione reciproca; il tempo, infatti, determina il movimento, essendo numero di esso, e il movimento determina il tempo. E diciamo molto o poco tempo misurandolo col movimento, come anche misuriamo il numero col numerabile, ad esempio con un solo cavallo il numero dei cavalli. Con il numero, infatti, noi conosciamo la moltitudine dei cavalli e, per converso, con un solo cavallo il numero stesso dei cavalli. Similmente, anche riguardo al tempo e al movimento, con il tempo misuriamo il movimento, con il movimento il tempo».

[3] In verità, textus 56; 336a31: «Una causa, infatti, che resta identica a se stessa e che agisce sempre nel medesimo modo, produce sempre, per sua natura, la medesima cosa».

[4] Cfr. gen. corr. ii, 10; 336b16: «Vediamo infatti che vi è generazione con l'approssimarsi del Sole, deperimento con il suo allontanarsi. E queste due fasi avvengono in tempi uguali, uguali essendo la durata della corruzione e della generazione secondo natura».