Petosiride e Nechepso

 

L’astrologo Petosiride rimane ancora per noi una figura enigmatica e leggendaria. Molti testi di astrologia e divinazione esistevano sotto i nomi di Petosiride e di Nechepso.

Nechepso è il nome di un re della xxvi dinastia, che resse Sais dal 663 al 525 a. C., a cui il sacerdote Petosiride si dice abbia indirizzato un ampio compendio astrologico. Vi fu un prete di tale nome del iv s. a.C. la cui tomba venne ritrovata a Tuna el-Gebel, presso l’antica città di Ermopolis, nel 1920. L’iscrizione che figura sulle pareti della tomba ci apprende che questo alto sacerdote esercitava la sua funzione nel periodo in cui un re straniero regnava sull’Egitto. Lefebvre ritiene che questo dominio strraniero corrisponde alla seconda dominazione persiana, che iniziò nel 342, alla caduta di Nectanebo II e si concluse nel 332 dopo le vittorie di Alessandro.[1] Poiché la tomba, intieramente decorata, presenta bassorilievi eseguiti in uno stile che denota una forte influenza greca, si è portati a ritenere che Petosiride, «al pari di molti altri personaggi del suo tempo, si è senz’altro accordato con in nuovi signori dell’Egitto».[2] Subito dopo la morte di Petosiride, la tomba divenne meta di pellegrinaggio da parte di infermi che cercavano una cura miracolosa. Dopo aver citato un distico che un visitatore greco incise sulle pareti della tomba (“Invoco Petosiride, il cui corpo giace sotto la terra, ma la cui anima  soggiorna presso gli dei: saggio, dimor con i saggi“), Lefebvre si domanda se la fama di saggio gli proveniva dalle sue conoscenze filosofiche, religiose o scientifiche. A questa domanda risponde positivamente Spiegelberg, che avanza l’ipotesi che il gran sacerdote e l’astrologo leggendario fossero la medesima persona.[3] Tuttavia la gran parte degli storici non condivide questa congettura, e vi si oppone per due motivi: primo, appare impossibile supporre la nascita di una dottrina astrologica sistematizzata prima dell’ellenismo, secondo, i frammenti che si posseggono dell’opera attribuita a Petosiride non consentono di porre la sua redazione prima del II secolo avanti la nostra era. Nondimeno, Spiegelberg avanza una diversa congettura: un sacerdote del medesimo nome, vivente nel II secolo prima di Cristo, avrebbe sfruttato la fama del gran sacerdote di Thoth.[4] Questa interpretazione è oggi quella accettata: verso la metà del II secolo a. C. un astrologo a noi ignoto avrebbe combinato elementi egiziani e babilonesi con le acquisizioni dell’astrologia ellenistica, usurpando il duplice prestigio della scienza regale (Nechepso) e di quella sacerdotale (Petosiride). [5] Ancora si deve rammentare lo scetticismo dei Gundel: essi pensano che non sia possibile sapere se esistevano nell’Egitto del IV o III secolo a. C. libri di Nechepso e Petosiride, il cui contenuto, improntato ad un misticismo astrale o, se vogliamo, a elementi della tecnica astrologica (che costituirebbero poi il nucleo medesimo della letteratura ermetica) sarebbe stato più tardi divulgato e modernizzato.[6]

Malgrado questi dubbi e congetture, l’opinione comune corrente si accorda a quanto aveva scritto Franz Boll un secolo prima: il libro di Nechepso e Petosiride deve essere considerto un falso, attribuito a un re per poter essere posto in rilievo. Ma non può essere considerato falso per il suo contenuto, in quanto trasmette ciò che il clero egiziano, geloso delle proprie conoscenze, aveva ttinto dalla dottrina mesopotamica, non apportandovi che lievi varianti ed aggiunte, quali i decani. Nessun greco, osservava Boll, avrebbe potuto rappresentarsi un’astrologia egizia, né tanto meno esibirla come l’opera di un antico re e di un saggio.[7]

Dell’opera di Nechepso e Petosiride i frammenti ci hanno tramandato una collezione disparata e disomogenea. Già Cumont affermava che ciò che abbiamo di fronte non sembra rappresentare l’espressione di un pensiero unico e neppure costante,[8] e pertanto storici contemporanei hanno supposto che l’opera deve essere il prodotto di diversi autori.[9]

I frammenti di queste opere, riuniti da E. Riess, rientrano in quattro gruppi principali:

  1. quelli che impiegano gli omina cælestia, quali furono sviluppati dagli Egiziani nei periodi achemenide e lagide sulla base di prototipi mesopotamici,
  2. quelli derivati da un testo rivelato in cui il re Nechepso, guidato da Petosiride, ha una visione che gli concede la conoscenza degli effetti che provengono dai moti celesti, e che concernono massimamente l’arte genetliaca;[10]
  3. un trattato di botanica astrologica, a scopi medici ed un altro di iatromatematica decanica;
  4. trattati di numerologia.[11]

I frammenti dei testi che impiegano gli omina cælestia ci sono stati in gran parte tramandati da autori della tarda antichità: Efestione di Tebe (floruit ca. 415), Proclo (410-485) e Giovanni Lido (fl. ca. 560). Nello stato in cui ci sono pervenuti, i frammenti rappresentano una radicale riscrittura dei testi originali. Questi frammenti, (in particolare i fr. 6-12 Riess), furono da C. Bezold e F. Boll comparati con i testi mesopotamici e consentirono a W. Kroll di datare l’originale al II secolo a. C. Gli omina impiegati sono le eclissi, il sorgere eliaco di Sirio e le comete. Il frammento 6, che ci è tramandato da Efestione di Tebe (I, 21), contiene altresì omina meteorologica, come il colore del corpo del luminare eclissato, la concomitanza di venti che soffiano dalle diverse direzioni, le stelle cadenti, gli aloni, meteore ignee e le piogge; si danno inoltre giudizi fondati sulla presenza del corpo eclissato in ciascuno dei segni dello zodiaco (forse come sostituzione dei mesi egiziani). Inoltre il fr. 6 divide il giorno o la notte in quattro periodi, ognuno dei quali ha tre ore temporali. La maggior parte di questi elementi si ritrovano nel papiro demotico pubblicato da R. A. Parker[12] e molti di essi nelle tavolette più importanti delle sezioni Sin e Shamash della serie di omina dell’Enûma Anu Enlil.

Il fr. 8 riassume un’analoga trattazione degli omina relativi alle eclissi che proviene da Campestrio, che segue la tradizione petosiridica. Il fr. 7 contiene anch’esso omina concernenti le eclissi, ma sembra provenire da un’altra e più antica fonte, nella quale lo schema dei riferimenti geografici era strettamente limitato all’Egitto e alle regioni limitrofe, contrariamente al fr. 6, nel quale le eclissi riguardano l’intero continente eurasiatico.

Il fr. 12 dà predizioni annue basate sulla situazione del sorgere eliaco di Sirio, incluse le posizioni dei pianeti, il colore della stella e la direzione dei venti; ha da essere comparato con il papiro demotico pubblicato da G. R. Hughes[13] e inoltre con Eudoxius e lo ps. Zoroastro. A metà del testo di Efestione (I, 23), vi è la dscrizione del modo in cui la forza effettiva dei pianeti viene trasmessa attraverso le sfere al mondo sublunare. Tale passo presuppone sia le teorie fisiche di Aristotele, sia un sistema planetario basato su eccentrici ed epicicli. Se questo passo è una citazione autentica di un testo scritto nel II secolo a.C., è del più grande interesse, perché offre la prima testimonianza a noi nota di una teoria dell’influsso astrale. Il frammento contiene altri elementi d’interesse per lo storico dell’astrologia – per esempio, una classificazione dei pianeti in benefici e malefici e l’uso degli aspetti. Ma questi elementi possono anche essere stati aggiunti da Efestione o da un ignoto predecessore.

Vi sono poi altre due serie di frammenti che formano forse una parte di omina caelestia e trattano dei problemi che interessarono i primissimi uomini che cercarono di convertire gli omina catholica in omina aventi significato per gli individui e che usarono tecniche babilonesi. Questi due problemi sono la datazione del concepimento e il computo della durata della vita basata sui tempi ascensionali fra l’ascendente e il nonagesimo.

I testi genetliaci includono tutti i passi tratti dalle Antologie di Valente ed alcuni di Firmico. Qui Nechepso ha una visione che gli offre la percezione dei moti planetari, moti che sembrano rimandare ad un’astronomia pretolemaica. Egli descrive ciò che ha appreso dalla sua rivelazione in almeno tredici libri in oscurissimi versi senari giambici. Alcuni passi di Valente mostrano che egli era a conoscenza di un’altra opera di Petosiride, dal titolo Definizioni, oltre a quella di Nechepso, che egli chiama abitualmente il re ed altrove “il re e Petosiride” insieme. Vari passi contengono citazioni dai “tredici libri del re”.

Tra le principali dottrine astrologiche discusse da N. e P. nell’opera o nelle opere poetiche accessibili a Valente vi sono il calcolo della durata della vita, il calcolo della parte di fortuna, che è impiegato anche nel calcolo della durata della vita, la determinazione dei tempi futuri buoni e cattivi, basata sui periodi planetari, sul signore dell’anno e sulla rivoluzione degli anni; i tempi pericolosi o climacterici e vari aspetti dell’esistenza: viaggi, malattie, figli e morte.

Vi sono poi trattati di numerologia di due tipi, entrambi spiegati in una lettera di P. al re N., che è presente in numerose recensioni. La forma più semplice utilizza solo l’equivalente numerico delle lettere greche nel nome dell’interrogante; la seconda forma utilizza il giorno del mese lunare e il cerchio di Petosiride. Un altro testo numerologico, basato sui segni zodiacali, si trova in una lettera indirizzata a Nechepso.

I frammenti di Petosiride rivelano una dottrina astrologica molto strutturata. L’affermazione di D. North (Astronomy and Cosmology, London 1994, p. 121), secondo cui il rapporto tra Petosiride e Tolemeo è simile a quello tra una sfera di cristallo e un economista di professione, non corrsiponde al contesto tecnico di questi frammenti e può forse convenire a scritti magici posti sotto il nome di Petosiride. È pur vero che un paragone fra Tolemeo e Petosiride fu proposto anche nell’antichità, a favore del primo, come testimonia la Biografia degli astrologi, di un anonimo dotto bizantino: «Tolemeo ha penetrato con acume la complessità di questa scienza più di altri che l’hanno preceduto, più di Nechepso, di Petosiride, di Ermete e di altri ancora, ed è considerato dai posteri come il modello, il canone dell’arte.»[14]

Petosiride è citato più volte  - ci limitiamo qui agli astrologi -  da Vettio Valente, Efestione di Tebe, Firmico, che lo pone tra i padri leggendari dell’arte, unitamente a Hermes, Orfeo, Abraham (cfr. il proemio al IV libro),[15] ed altresì da Giuliano di Laodicea, da Teofilo di Edessa. L’anonimo commentatore del quadripartitum tolemaico, che lo definisce palaios, afferma: «Gli Egizi che erano prima del tempo di Tolemeo, tra i quali Nechepso e Petosiride, sono coloro che hanno spiegato la dottrina della previsione fondata sull’astrologia». Questa citazione si trova nel commento al capitolo tolemaico Sui tempi di vita, dove l’anonimo spiega il diverso fondamento riguardo alla determinazione della parte di fortuna che distingue Tolemeo da Petosiride. Se questi infatti pone come discriminante la vicissitudine giorno/notte, Tolemeo si basa sui due periodi della lunazione. E nondimeno il metodo del computo, prosegue l’anonimo commentatore, è il medesimo in entrambi e si fonda sul moto diurno, per ascensoria tempora. È pertanto evidente che, contrariamwente all’opinione di North, gli scritti attribuiti a Nechepso e Petosiride, che hanno istruito i posteri sui fondamenti dell’arte astrologica, presentano metodi matematico-astronomici che sono propri dell’astrologia della tarda antichità greca. In questa ottica devono essere interpretati anche i riferimenti a Petosiride che troviamo in Firmico, ad esempio l’osservazione sul grado nonagesimo rispetto all’oroscopo e alla Luna, meglio enunciato da Sarapione di Alessandria come kration schêma, figura potens.[16]


Sulla datazione

O. Neugebauer e R. A. Parker, (Egyptian Astronomical Texts, Providence III, 1969, p. 216) pongono la redazione delle opere di N. e P. prima del II secolo a. C.; E. Riess (Nechepsonis et Petosiridis fragmenta magica, Philologus suppl. 6, 1892, p. 329) propende per un periodo compreso tra l’80 e il 60 a. C., in Alessandria, fondandosi sul fatto che Petosiride era noto a Plinio, ma non a Posidonio. Questa opinione fu rite0nuta verisimile da A. Bouché-Leclercq, L’astrologie grecque, Paris 1899, p. 564, che però precisa (ibid. p. 52, n. 1): ouvrage datant au plus au temps de Sylla et peut être postérieur à l’ère chrérienne. In seguito W. Kroll (Aus der Geschichte der Astrologie, Neue Jahrbücher für das classiche Altertum, Geschichte und Deutsche Literatur, n. 7, 1901, pp. 573ss.), considerando i fatti storici riportati nel fr. 6 Riess (= Hephaestio I, 21; Pingree I, pp. 52-63), giunse alla conclusione che si tratta di una traduzione greca, eseguita in Alessandria,  verso la metà del II secolo a. C. Questa opinione è condivisa da Fr. Boll (Catalogus Codicum Astrologorum Græcorum, VII, p. 130), F. Cumont (L’Égypte des astrologues, Bruxelles, 1937, p. 39), O. Neugebauer (Demotic Horoscopes, Journal of American Oriental Society, n. 63, 1943, p. 122), P. M. Fraser (Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, I, p. 436ss.).


Edizioni

I frammenti sono stati pubblicati da E. Riess, Nechepsonis et Petosiridis fragmenta magica, Philologus Suppl. 6. 1892, pp. 325-394. Pingree notava che questa raccolta è lungi dall’essere completa (Yavanajâtaka… cit., II p. 436) ed è acritica (Petosiris, in: Dictionary … cit., 548). Tra gli studi non citati:

C. Darmstadt, De Nechepsonis-Petosiridis Isagoge quæstiones selectæ, Diss. Breslau, 1916.
P. L. Keyser, On cometary theory and typology from Nechepso-Petosiris through Apuleius to Servius, Mnemosyne n.5, 1994.
O. Neugebauer, R. A. Parker, D. Pingree, The zodiac ceilings of Petosiris and Petubastis, Denkmäler der Oase Dachla. Aus dem Nachlass von Ahmed Fakhry, Archäologische Veröffentlichungen 28, Deutsches Archäologisches Institut, Abteilung Kairo, Manz am Rhein, 1982.
G. Tolles, The Latin Translation of the Epistola Petosiridis, Manuscripta n. 26, 1982, pp. 50-60.





Note

[1] G. Lefebvre, Le tombeau de Pétosiris, Le Caire 1924, p. 11.

[2] E. Drioton, J. Vandier, L’Égypte des origines à la conquête d’Alexandre, Paris3 1975, p. 621.

[3] W. Spiegelberg, Eine neue Spur des Astrologen Petosiris, Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, philos.-hist. Klasse, n. 3, 1922, pp. 3-8.

[4] op. cit., pp. 7-8. Invero, Petosiris era un nome assai comune, che significa “Dono di Osiride” e che può scriversi anche nella forma Peteesis, che ci rammenta il sacerdote che avrebbe insegnato a Platone la melotesia zodiacale, cfr. H. G. e W. Gundel, Astrologoumena: die astrologische Literatur in der Antike und ihre Geschichte, Wiesbaden 1966, p- 31; A. S. Hunt (ed.), Catalogue of the Greek and Latin Papyri in the John Rylands Library, Manchester, Manchester, II, 1915, n. 63.

[5] Cfr. M. Pieper, Nechepso, Real-Encyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft,  XVI, 1925, coll.2167; F. Boll, C. Bezold, W. Gundel, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschischte und dasWesen der Astrologie, Leipzig-Berlin4 1931, pp. 23ss.; E. Honigmann, Die Anaphorai der alten Astrologen, in: J. Garrett Winter (ed.), Michigan Papyri, III: Papyri in the University of Michigan Collection, Miscellaneous Papyri, Ann Arbor 1936, p. 306; D. Pingree, The Yavanajâtaka of Sphujidhvaja, Cambridge (Mass.) 1978, II, p. 436.

[6] H. G. e W. Gundel, Astrologoumena, cit., p. 28, n. 31.

[7] F. Boll, Sphaera. Neue griechische Texte und Untersuchungen zur Geschichte der Sternbilder, Hildesheim 1903, pp. 372-372.

[8] F. Cumont, Ècrits hermetiques, I:  Sur les douze lieux de la sphère; II: Le médecin Thessalus et les plantes astrales d’Hermès Trismégiste, Revue de philologie, de littérature et d’histoire anciennes, 1918, p. 67.

[9] Cfr. T. Barton, Ancient Astrology, London 1994, p. 26.

[10] La visione di Nechepso è riportata nel proemio del sesto libro delle Anthologiae di Vettio Valente (ed. Pingree p. 231 = fr. 1 Riess). È utile leggere, sulla rivelazione diretta come fonte di conoscenza F. Boll, C. Bezold, W. Gundel, Sternglaube… cit., pp. 96-99.

[11] Cfr. D. Pingree, Petosiris, in: Dictionary of Scientific Biographies, vol. 10, New York, 1974, p. 547.

[12] A Vienna Demotic Papyrus on Eclipse and Lunar Omina, Providence 1959.

[13] A Demotic Astrological Text, Journal of the Near Eastern Studies, n. 10, 1951, pp. 256-264.

[14] CCAG VIII/3, pag. 93,8-11.

[15] Ed altresì V, 2 (Kroll, Skutsch, Ziegler 294,15-17): Divini illi viri et sanctissimae religionis antistes, Petosiris et Nechepso.

[16] Firmico VIII, 1 (Kroll, Skutsch, Ziegler II, 284-285); Sarapio Alexandrinus, Catalogus Codicum Astrologorum Græcorum VIII, 4, p. 227.19.